Accidenti a questo groppo che mi pesa dentro e accidenti a questo grigiore che m’inghiotte e sembra penetrarmi anche nell’anima! Accidenti pure a questa senso d’insoddisfazione che quest’estate rotolata via mi sta lasciando!
Così stava pensando Mario mentre dribblava pozzanghere tra sguardi estranei e fugaci, arrabbiato con sé e col mondo.
Sì, ce l’aveva con sé stesso e con quel cretino che era.
Maledizione alla sua vita frenetica che gli impediva di organizzarsi secondo ritmi più umani…

Era appena salito sul marciapiede, quando una macchina gli schizzò melma ed altro ancora sui pantaloni, su quei pantaloni freschi di lavanderia.
Tirò giù due imprecazioni ed entrò nel bar lì vicino, per un caffè, asciugarsi e prendersi un attimo di respiro.
E ripensò a tre giorni prima, all’ultimo giorno di vacanza a Formentera, al sole, a quella ragazza tanto incredibilmente bella da togliergli il fiato.
Scosse la testa.
«Ecco il mio numero, chiamami quando rientri a Milano», gli aveva detto scrivendoglielo su un tovagliolino del bar della spiaggia, visto che non avevano lì i cellulari.
Ed esso, puntualmente, era sparito nel nulla.
Accidenti a me, pensò. Accidenti a tutto.
Poi, masticando altre imprecazioni, si strinse nell’impermeabile ed uscì.