Andava a vedere tutte le sue spose. Tutte.
In disparte, in fondo alla chiesa, oppure appartata con discrezione dietro la fontana del Bacchino, in piazza del comune.
A questo pensava quella mattina mentre appuntava sulla bacheca di sughero la fotografia della sua ultima creazione.
Nell’atelier regnava l’odore buono di cera del parquet, mescolata a quella delle stoffe.
Chissà perché, ma aveva la sensazione che i rasi e gli chiffon profumassero di vaniglia. Sicuramente per il colore. Bianco, avorio, champagne. Nuvole di voile drappeggiate su uno scaffale e intere pezze di “duchesse” appoggiate sul lungo tavolo, in attesa di essere trasformate nell’abito da sogno che ogni sposa desiderava.
In un armadio shabby con le ante aperte, coprispalle di fogge diverse, appese a grucce imbottite, e poi ancora veli e pizzi pregiati conservati in scatole decorate a decoupage.
Manichini pazienti, cartamodelli e stampe alle pareti. Questo era il suo mondo.
Ogni volta che finiva un lavoro, era un capitolo che si chiudeva.
Anche se dentro le rimaneva ancora l’eco delle confidenze, dei dubbi, della vanità buona, quella dell’essere protagonista nel giorno più bello e dell’esplosioni di allegria che le future spose le regalavano.

Mentre metteva a posto delle riviste aveva guardato il cielo. Avrebbe piovuto.
“Sposa bagnata sposa fortunata”, aveva pensato, mentre lo specchio a tutta parete rifletteva una nota di amarezza sul suo volto.
Ma poi a lei, che le importava? L’avevano pagata, e allora?

Aveva tirato fuori l’agenda; un abito da tango da disegnare per il giorno dopo.
Foglio, matita e pedalare, che era già in ritardo!
Le aveva portato via più di un mese il vestito di Lynlyn…

Lynlyn.
Una ragazza orientale con una cascata di capelli neri talmente lisci e lucenti da sembrare seta liquida.
Si era meravigliata non poco che l’avesse cercata per un abito su misura. In città la comunità cinese vantava diversi atelier, per non parlare dell’imbarazzo della scelta che la fiera degli sposi a Firenze offriva ogni anno.
Perché lei? Mah…

L’appuntamento era alle nove e alle nove meno cinque avevano suonato al citofono.
Aveva aperto la porta e si era ritrovata di fronte un uomo con un completo blu impeccabile, ma senza scarpe. Scalze pure la donna e la ragazza dietro di lui.
Si era sentita un attimo in imbarazzo.
« No, vi prego, rimettetele…» aveva provato a dire, ma l’uomo aveva fatto finta di nulla e quindi non aveva insistito.
Le scarpe erano rimaste fuori dalla porta. Un segno di rispetto, avrebbe saputo poi.

Inutile il tentativo di farli accomodare su un divanetto in pelle, avevano preferito sedersi su degli sgabelli alti intorno al tavolo da lavoro.

« Dimmi pure, hai già un’idea? » aveva esordito lei rivolgendosi alla ragazza.

« Voglio abito così. No problema prezzo, stoffa buona…fare figura…»

Non era stata la disponibilità a spendere, cosa rara, visto che di solito tutte le spose, tutte, nessuna esclusa, tiravano sul prezzo, ma quel “voglio” a meravigliarla. Perché a pronunciarlo non era stata Lynlyn ma suo padre.
Già le stava antipatico.
Non c’era voluto molto a capire che né la madre né la figlia avevano voce in capitolo.
Lui aveva scelto l’abito, le stoffe…e lo sposo.
Glielo aveva confessato lei, qualche tempo dopo, quando era andata per la prova senza la madre.

Tsuan Jang non le piaceva. Figlio del socio di suo padre ne aveva ereditato la stessa arroganza.
Con il loro matrimonio ci sarebbe stata una fusione delle rispettive aziende diventando così più competitivi nel settore manifatturiero.
E poi, era innamorata di un altro…
Dong Xing. Quattro anni più di lei, a Milano aveva un negozietto dove vendeva di tutto e di niente, però studiava e le scriveva poesie.
Aveva sorriso. Aveva un sorriso bellissimo Lynlyn.

« Perché non lo dici a tuo padre? » aveva azzardato.
Il suo sguardo triste aveva risposto per lei.

Un tuono più forte degli altri l’aveva riportata al presente.
La matita scorreva senza convinzione sulla velina immacolata. Erano le nove.
A quell’ora Lynlyn avrebbe indossato il suo Qipao a fiori, l’abito tradizionale fatto arrivare apposta dalla Cina, per poi cambiarsi con l’abito bianco che lei le aveva confezionato.
Il rito nuziale si sarebbe svolto nel ristorante alla presenza di un cerimoniere, e prima di sera l’avrebbe fasciata un vestito lungo rosso , simbolo di fortuna e prosperità.

Andava a vedere tutte le sue spose, lei. Tutte. Ma non Lynlyn.
Voleva illudersi.
Voleva immaginare lo stupore di quel padre per quella mancanza al suo fianco… delle scarpette di raso volare sul predellino di un treno… un velo sparire tra gli sportelli mentre la voce metallica di un altoparlante annunciava: “ L’intercity 583 per Milano centrale è in partenza dal binario 3…allontanarsi dalla linea gialla…