Arrivò l’ora della buona notte, ma Giorgia non riusciva proprio a prendere sonno. Troppe cose erano accadute quel giorno e il pensiero andava ripetutamente a quella casetta, a quella porta, a quello che aveva visto dalla finestra. La sorprese di nuovo la paura e ogni volta che chiudeva gli occhi immaginava quell’ombra ingigantirsi e venirle incontro urlando «Cosa vuoi qui, ficcanaso?!». Dormire le parve un’impresa impossibile. Non solo non trovava una posizione, ma voleva tenere gli occhi aperti per scacciare le ombre. Scelse di guardare il soffitto, ma non l’aiutava a distrarsi; poi si girò verso il lato sinistro, ma gli si intorpidì il braccio. La sveglia sul comodino le dava l’idea del lento scorrere del tempo. Quando si assopì, stremata, albeggiava già e i raggi del sole, filtrando dalle fessure della tapparella non del tutto abbassata, donavano un po’ di luce e calore alla stanza.

Ilaria venne a svegliarla baciandola sulle guance, giocò con lei e la riempì di coccole. Mamma e papà la aspettavano al tavolo della colazione, sorridenti. Tutto d’improvviso le sembrò così perfetto che pensò che avrebbe solo potuto rovinarlo se fosse tornata in quella casa. Non voleva più avere paura, voleva di nuovo poter dormire tranquilla per godersi tutto questo. Però, si sorprese a pensare, però…ci voleva tornare.

Ilaria la stava osservando, come se avesse compreso che qualcosa la turbava. Era allegra e più disponibile del solito. Non aveva più fretta di uscire, non aveva la testa altrove e le fece persino provare il suo lucidalabbra nuovo e un po’ di ombretto rosa pesco. Giorgia si divertì “a fare la grande”, come la prendeva in giro la sorella.  E la mamma, oh la mamma, anche lei era incantevole e profumata, più che mai.

«Sapete cosa facciamo?» disse la madre, «oggi prendiamo le bici tutti insieme e andiamo al fiume! Preparo qualche panino!»

«Ma mamma, e il tuo lavoro?»

«Io e papà abbiamo deciso di prenderci qualche giorno per stare con voi», e sorrise di un sorriso magico.

 

Trascorsero dei giorni incredibili. Giorgia non ricordava tanta unione nella sua famiglia. Mamma e papà organizzarono gite al lago, serate al cinema all’aperto e scorpacciate di gelati e frappè. Ilaria prendeva parte ad ogni iniziativa, senza cercare scuse per assentarsi e trascorrere il suo tempo con gli amichetti della piazzetta. La sua famiglia era la cosa più fantasmagorica che esisteva.

Eppure… eppure quella porta gialla era ancora lì, nei suoi pensieri e alla fine del campo di grano, proprio dietro al grande amico ulivo. E sentiva che la stava chiamando. Non riusciva a distoglierne il pensiero per più di qualche ora, nonostante le distrazioni che aveva intorno.

Venne l’occasione alla fine di una lunga gita nei boschi a fotografare insetti per il suo album. La ricerca aveva stancato tutti, che al ritorno a casa si erano appisolati, chi sul divano chi sul letto. Ne avevano trovati di incredibili e rari. Persino Ilaria aveva sfidato, indomita, sterpaglie e rovi, pur di aiutare la sorella a non perderne neanche uno. Si era graffiata le caviglie senza lamentarsi che così non poteva più indossare gonnelline che le scoprivano le gambe, e non aveva mai sbuffato per noia o schifo.

Sì, la storia con quel tipo della bicicletta rossa doveva essere finita e sua sorella era finalmente rinsavita, pensò Giorgia. In effetti non lo aveva più visto circolare impettito sul suo bolide a pedali, o lanciarsi dalla discesa del castello come un pazzo, rischiando l’osso del collo, solo per fare buona impressione su di lei.

Certi maschi sono proprio sciocchi, pensò mentre sgattaiolava fuori casa, nascondendo nella tasca un’ultima fetta della torta Strabuona, la torta di mele con ricetta segreta che la mamma aveva creato per lei e alla quale aveva avuto l’onore di dare il nome, anche se non esisteva in italiano, come aveva osservato di nuovo suo padre.