Passò altro tempo, trascorsero altri giorni felici.

Suo padre decise addirittura di portarla nel suo ufficio, in città. Andava così raramente in città, e lei adorava tutto quel frastuono, le strade affollate, le vetrine colorate, i clacson e i rumori del traffico. Sembrava tutto così diverso dalla vita nel paesino in campagna. E poi poteva finalmente vedere come il padre passava il suo tempo, quante persone comandava e se anche al lavoro era bello come a casa o addirittura di più. La mamma le aveva confidato che quando passava a salutarlo in ufficio lo trovava così sexy che si rinnamorava ogni volta di più, se fosse stato possibile. Giorgia non sapeva se avesse capito bene il significato di sexy, ma suonava così bene che aveva cominciato a chiamarlo papà sexy e la cosa faceva ridere tutti.

Il grande portone con l’anta scorrevole sembrava quello di un albergo lussuoso. La signorina alla reception salutò il padre con un sorriso gentile e sincero: «Abbiamo ospiti importanti, oggi, Dottor Sarti?»

«I più importanti! Dica alla regina Elisabetta che deve aspettare, che il cliente qui vicino ha la precedenza su tutti!», disse agitando la mano aperta a dita unite, imitando il saluto regale.

Giorgia rise e fece come il padre, e la signorina ricambiò il saluto. «Io sono Anna, e per qualsiasi cosa sono a vostra disposizione, madama…?»

«Giorgia, mi chiamo Giorgia!»

«Che bel nome! Molto meglio di Elisabetta!» e risero tutti e tre.

Mentre si avviavano verso l’ascensore Giorgia chiese sottovoce al padre «Ma sei un dottore?»

Il padre rise: «No, sono solo laureato e ad Anna piace scherzare. È simpatica, e sicuramente ti porterà della cioccolata tra poco. Ha sempre un cassetto pieno di cioccolatini e caramelle, ma non ingrassa mai. Come tua mamma.».

«Mamma mangia schifezze?» chiese sorpresa. A lei erano vietate.

«Ops, non dovevo dirtelo. Lo fa di nascosto da voi. Ma lo fa per il bene vostro e dei vostri…»

«Denti, lo so. Lo dite sempre. Però non è giusto fare le cose di nascosto.»

Quasi si pentì di quella frase: quante ne aveva fatte lei? Per fortuna il padre rise e il discorso cadde lì.

Intanto era arrivato l’ascensore e vi presero posto. Era grande e pieno di numeri, contornati da una lucina rossa. Tutto nel grande palazzo in vetro e acciaio era grande e luminoso, e il suo papà aveva un ufficio all’ultimo piano. Di lì sembrava di poter vedere tutto il mondo.

«Su, forza, madama Giorgia, hai voglia di sederti sul trono del re Giulio?», disse il papà indicandole la grande sedia in pelle di fronte alla scrivania.

Giorgia strabuzzò gli occhi dalla gioia e corse ad arrampicarsi. La pelle della poltrona era fredda ma morbida e i braccioli così ampi che poteva appoggiarci entrambe le braccia comodamente.

«Papà, ma tu che lavoro fai?»

«Sono un architetto e cerco di esaudire gli strampalati desideri degli adulti con l’aiuto, l’esperienza e persino l’estro degli altri colleghi.»

«Papà, perché mamma non lavora qui con te? Lei è molto estrosa.»

«Eh, bambina mia, a volte due estrosi è meglio che non lavorino insieme o diventano disastrosi! E poi abbiamo deciso che la mamma si sarebbe presa cura di voi.»

«E lei non voleva lavorare?»

«Eccome se voleva! Ha studiato per diventare infermiera e le piaceva molto, ma tornava a casa sempre molto triste quando doveva curare qualcuno che stava molto male. Quando è rimasta incinta di Ilaria l’ho vista finalmente felice e rilassata. Si accarezzava la pancia continuamente e si metteva sempre una sciarpa intorno alla pancia, anche d’estate: diceva che stava covando, come le galline, perché il suo pulcino non temesse il freddo e si rendesse già conto che il nido materno sarebbe stato sempre un rifugio. Non poteva lavorare perché il suo era un lavoro a rischio, e stringendo la cinghia abbiamo visto che non era così difficile essere felici anche con meno. Così è diventata mamma a tempo pieno e visto che era così tanto brava da riuscire a conciliare figli e casa ho potuto dedicare io più tempo al lavoro e dal primo piano in cui stanno i novelli architetti sono arrivato fin qui.»

«E mamma non si è mai pentita?»

«E di cosa? Di avervi visto venire su sane, belle e intelligenti? Di non aver perso neanche un momento della vostra crescita? I primi passi, le prime paroline, le prime scoperte, il primo giorno di scuola, e ora anche le vostre prime cotte!»

Giorgia si rabbuiò un po’. «Papà, ma che farà la mamma quando non ci saremo più?»

«In che senso?»

«Quando Ilaria si sposerà, basterò io a mamma?»

«Ti sposerai anche tu, anche se ora l’idea ti fa rabbrividire. Anche io da bambino dicevo che le femminucce mi facevano schifo. Ora ne ho tre intorno che amo alla follia!»

A Giorgia balenò un ricordo che pensava di aver allontanato. «Papà, sei mai stato triste? Tanto triste da piangere?»

«Bambina mia, che domande sono queste? Oggi siamo qui per divertirci insieme, no?»

Giorgia non si arrese, anche se voleva. «E la mamma?»

In quella strana casa con la porta gialla non l’aveva ancora vista, si rese conto mentre faceva la domanda. Allora non poteva essere casa loro: la mamma era sempre a casa, era sempre ad occuparsi di loro. Certo, poteva essere in un’altra stanza, ma anche questo le pareva strano: la mamma passava la maggior parte del suo tempo fra cucina e soggiorno.

«Oh, madama», interruppe il padre il divagare dei suoi pensieri «vostra mamma ha i suoi momenti di sconforto perché vi vede crescere troppo in fretta, ma non si è pentita neanche un momento della sua scelta. Mentre io… ma vabbè, siamo qui per rimediare, no?»

Giorgia non pensò più alla casa gialla e si divertì tantissimo quel giorno. Appena tornata a casa raccontò tutto alla mamma, che la ascoltava e rideva e ogni tanto la interrompeva con delle domande per saperne di più. Più tardi si unì anche Ilaria, che chiese un resoconto dettagliato e a Giorgia toccò ricominciare dall’inizio, ma le piaceva sentirsi così protagonista.

 

Amava la sua famiglia alla follia. Non avrebbe mai, mai voluto lasciarli, ora poi che sapeva che per la mamma era così importante averli sempre accanto. Ma la porta gialla mandava il suo silenzioso richiamo, soprattutto di notte, quando i pensieri possono farsi strada senza che vengano distratti da programmi familiari o resi meno oscuri dalla luce del sole che tutto migliora. Ma di andarci col buio proprio non se la sentiva e di giorno sgattaiolare era diventato ancora più complicato. Dalla giornata in ufficio col papà la sua famiglia era ancora più intenta ad inventare occasioni da vivere insieme.

«Mamma, sto per caso per morire e non me lo volete dire?» si divertì una volta a chiedere Giorgia, in una giornata particolarmente intensa di programmi e di sorprese.

«No, ci stiamo solo per divertire…da morire!» si affrettò a rispondere il padre, che ormai era diventato meno silenzioso e sempre più burlone. E l’intera famiglia cominciò a imitare modi di morire dal ridere, dandosi i voti per le interpretazioni.

Nonostante l’estate fosse ormai alle spalle e tutti avessero ripreso il tran-tran quotidiano fra scuola e lavoro, il tempo libero era di loro quattro, i quattro moschettieri, come amavano chiamarsi: uno per tutti e tutti per uno!

 

Era tutto così bello, ma Giorgia sentiva che era troppo tempo che non andava alla porta gialla. Era come se facessero di tutto per tenerla distante da lì. E se loro avessero saputo della sua esistenza? E se glielo stessero tenendo nascosto? Se tutto quel divertimento a casa fosse un piano alle sue spalle? Sciocchezze! Eppure, quella somiglianza col padre, quell’arredamento così uguale e Ilaria e la bicicletta rossa… Doveva andare fino in fondo, doveva capire. Mamma stava lavando le stoviglie, papà stava leggendo sulla sua poltrona e Ilaria era in bagno: era il momento adatto. «Giorgia, perché non mi fai compagnia in cucina, che mi annoio?». Ecco, la madre aveva appena sabotato il suo tentativo di fuga.

«E poi», proseguì, «dobbiamo addobbare l’albero di Natale e decorare tutta la casa: sarà il Natale più bello di sempre!».

 

Ed in effetti lo fu. L’albero era gigantesco e con tantissime lucine e tutta la casa era magnifica, con ghirlande e Babbi Natale ovunque, e lei ricevette tantissimi regali. L’aria di festa porta con sé spesso anche delle malinconie nascoste e Giorgia non ne era immune. Ripensò alla casa dalla porta gialla. Chissà se anche lì era Natale, chissà se avevano decorato, chissà se l’Albero era uguale al loro oppure era tutto triste perché lì non avvengono mai cose belle. Doveva tornarci.

L’occasione venne la notte di Capodanno. L’intero paese era in festa e il Sindaco, come tradizione, aveva organizzato un grande evento per unire la sua piccola comunità in piazza. Un enorme panettone di cioccolata aspettava di essere rotto a mezzanotte esatta e assaggiato a turno da tutti i presenti, mentre la musica si alzava accompagnando l’euforia generale. I fuochi d’artificio misero tutti col naso all’insù e in quel frastuono generale, fra baci, brindisi e abbracci, Giorgia prese la sacca in cui aveva già infilato una torcia elettrica e si incamminò. Con quella confusione la sua assenza non sarebbe stata notata. La luna piena e i fuochi d’artificio ad ogni modo rischiaravano la strada quasi a giorno.

Di nuovo campi e ulivo e la casa dalla porta gialla. Si diresse decisa alla finestra e vide proprio la persona che aveva temuto di vedere: stava entrando in salotto sua madre, sfatta e magrissima, in un maglione che la conteneva troppe volte.  Aveva il volto contratto e pallido, le guance rigate da lacrime asciutte; quelle bagnate doveva averle finite ormai da tempo.

«Mamma, mamma, mamma!», cominciò ad urlare, e senza pensarci un attimo afferrò la maniglia e si fiondò all’interno. Non sopportava di vederla in quello stato. «Mamma, che succede, perché piangi? Mamma, stai male? Mamma?»

Ma la mamma sembrava sorda alle sue domande, totalmente assente nel suo dolore. Le si avvicinò accoccolandosi alle sue ginocchia. «Mammina, ti prego, rispondimi! Mamma, sono Giorgia, la tua Giorgia. Ilaria! Papà! Dove siete? Mamma sta male!» ma niente, nessuna reazione. Giorgia si irrigidì e si staccò dal contatto con la mamma. Un dubbio atroce si insinuò nella sua mente: Che non potesse vederla? Che nessuno potesse sentirla? Ma cosa…?

Corse allora verso camera sua, col cuore che pulsava in ogni centimetro del suo corpo. Non sapeva neanche lei come riuscisse a muoversi, in quel frastuono interno di ansia e terrore. Vide sul letto una bambina distesa, con gli occhi chiusi e tubi ovunque. Si avvicinò a passi lenti, rimanendo comunque a distanza, col terrore che le spalancava la bocca. Si girò verso il padre, ripiegato su una sedia con la testa fra le mani. «Papà», sussurrò. Ma anche lui pareva non accorgersi di niente. Volse lo sguardo verso Ilaria, che stava in piedi accanto al letto.

«Ila…»

Ilaria le diede l’illusione di averla sentita, ma il lieve movimento che fece era per chinarsi a dare una carezza a quella bambina. Giorgia fu colta da terrore: quel tocco sulla guancia lo stava percependo sulla sua. Avvertì nitidamente la mano della sorella sulla gota, una carezza lieve, soffice, amorosa, ma così triste che sapeva di addio.

Allora ricordò. Una valanga di immagini le attraversarono la mente e la memoria: una bella giornata di sole, Ilaria seduta sul muretto con le amiche che ride, lei che cerca di attirare la sua attenzione sulla strada sterrata di fronte a loro, un rumore in avvicinamento, una bici rossa senza controllo che scende dal castello, l’impatto, il buio, le urla intorno, la sorella che aggredisce qualcuno, il dolore, tanto dolore, e ancora urla intorno e poi l’ambulanza e ancora dolore, tanto dolore, la mano di mamma che stringe la sua, le sue lacrime e ancora dolore, tanto dolore e poi il nulla. Poi il letto, i dottori, i pianti dei genitori e lei che decide di uscire dalla porta gialla e iniziare quella vita da sogno.

Le gite, le serate sul divano, le risate con la sorella, la visita all’ufficio di papà, tutto era stato uno splendido sogno. Aveva vissuto quel che la sua famiglia stava avendo paura di perdere. Ora le apparve chiaro che quella non era più la sua vita ma una specie di realtà parallela in cui si riversava tutta l’angoscia della sua famiglia, che non chiedeva altro che ancora un po’ di tempo insieme, per riscattare le occasioni mancate o semplicemente rimandate, perché troppo presi dal vivere quotidiano.

In fondo che male c’era a dare per scontato che ci sarebbe stato sempre un domani?

L’illusione crea sogni che la realtà infrange e la disperazione ci imprigiona, talvolta anche in rifugi idilliaci.

Aveva ancora senso, ora che sapeva, farli soffrire così? Per quanto bella, quella vita non era reale.

Si sentì improvvisamente stanca anche lei, stanca di dover sempre evadere. Stava a lei, a una piccola novenne coraggiosa, mettere fine a tutto questo. Voleva troppo bene alla sua famiglia per costringerli ancora lì. Fece un respiro profondo e si avvicinò al letto. Ciao Giorgia, ti prometto che smetterò presto di farti soffrire. Posò allora la sua mano su quella di Ilaria. «Sei bellissima e sei stata la migliore sorella del mondo. Ti voglio bene.» Ilaria singhiozzò ancora più forte.

Giorgia si avvicinò al padre e con le sue manine piccole carezzò le grandi che nascondevano ancora il viso. «Dottor Giulio, sarò la nuvoletta che verrà a salutarti ogni mattino alla finestra del grande ufficio all’ultimo piano.»

Giulio si tolse le mani dal viso e si incamminò verso la finestra: spostò le tende e vi si aggrappò ancora più forte quando scorse nel cielo limpido e azzurro una piccola nuvola bianca farsi largo fra le altre.

Poi tornò in salotto dalla mamma. Era davvero difficile congedarsi da lei. Non ci sono parole per dire addio a una mamma e ancora meno per alleviarle quel dolore. Le baciò la guancia. «Starò bene, se tu non mi dimenticherai.»

«Mai, piccola mia», rispose lei allungando le mani come per acciuffarla. Giorgia ci si intrufolò dentro e la strinse in un ultimo abbraccio. Sentì le sue lacrime bagnarle il viso e i capelli, e anche lei si abbandonò al pianto. Poi si riprese, si staccò e le sussurrò: «Ti amo tanto…» «E ancora di più» terminò lei. Era la loro formula, era il loro bacio della buona notta. Si sorrisero, madre e figlia, mentre Giorgia usciva definitivamente da quella porta gialla, svanendo lentamente nei suoi campi di grano.

 

Giallo era il colore preferito di Giorgia. Giallo come il sole, come la corolla delle margherite, come i pulcini, come le stelle nel cielo e come una piccola porta gialla che aveva diviso la realtà dall’illusione.