Gli esseri viventi, spesso, reagiscono alla paura con aggressività e la usano come arma da difesa.
Esiste il detto “la miglior difesa è l’attacco” e forse è vero ma io non sono d’accordo, sono sempre stata favorevole alla trattativa e alla pacifica convivenza.
In questo mondo incerto, nel quale spesso regnano il sopruso e la violenza, o quando, come oggi, malattie e strani virus sono in agguato e ci complicano la vita quotidiana facendoci riflettere sulla precarietà della stessa, quando mi sento oppressa dall’enormità dei problemi che devo affrontare, il mio cervello ribelle cerca rifugio in cose piacevoli e mette in moto la mia creatività pescando nella memoria lontani ricordi quasi dimenticati.

La mia casa è sempre stata popolata da animali di vario genere e dimensioni ed io mi sono sempre prestata alle più fantasiose richieste dei miei incredibili e vivaci familiari.
Qualche anno fa, mia figlia, per assecondare l’amore di mia nipote per gli animali, comprò un piccolo criceto russo che custodiva in una gabbia corredata di ogni confortevole accessorio: abbeveratoio, contenitore per i semi, per la verdura, per la frutta, una ruota per gli esercizi fisici e tutta una serie di attrezzi che avevano il compito di riempire le sue altrimenti tristi e monotone giornate (questo a dire di mia nipote): tubi, legnetti da masticare, scalette e una casetta-dormitorio nella quale spariva la maggior parte della giornata e dentro la quale nascondeva cibo e ogni genere di cose.
Dimenticavo di specificare che la gabbia era costruita su due piani come una graziosa “villetta” e il roditore passava dal piano inferiore a quello superiore e viceversa attraverso un tubo di plastica trasparente, con l’agilità di uno scalatore professionista.

Per fornire alcune informazioni utili, lui, il criceto russo, è uno specialista in ore piccole e un’altra fissa è quella della pulizia personale e nel cambiare l’arredamento del suo alloggio che fa, naturalmente nel bel mezzo della notte.
Io ero completamente all’oscuro di queste sue singolari abitudini e, ad essere sincera, non mi ero preoccupata più del necessario, pensavo semplicemente che dormisse di giorno e mangiasse di notte.
Di colore grigio chiaro, con sfumature di rosso e pancia e zampe bianche può convivere amabilmente nelle nostre case e, direi, nei nostri cuori, salvo qualche piccolo incidente di percorso.
Gli esperti dicono di lui che è molto socievole anche se io aggiungo, come esperienza personale, che è un tipino con molto carattere, a volte fa il bullo e può diventare un po’ nervoso se si sente minacciato.

Per tornare a Briciola (questo era il suo nome), mi venne lasciato in custodia durante una vacanza estiva della sua famiglia.
Presi in carico di buon grado l’ospite e gli trovai un posto tranquillo in soggiorno accanto a una finestra sopra un mobile frigo.
Riguardo al peloso, mi furono date specifiche istruzioni sul cibo e diversi accorgimenti da seguire.
Mi riempirono il frigo con tanto cibo, “bastante per un elefante”, ricordo che pensai osservando di sfuggita il piccolo roditore che pesava all’incirca cinquanta grammi ed era lungo sì e no dieci-dodici centimetri.
Mettendo a confronto l’animale e la montagna di cibo in dotazione, i conti non mi tornavano ma non feci commenti.
Presa dai miei molteplici impegni quotidiani, quasi lo dimenticai soprattutto perché durante il giorno non diede segni di vita; lo vidi di sfuggita prima di andare a letto, un paio di volte quando uscì dalla sua casa-dormitorio per dissetarsi e considerai che mia nipote avesse dei gusti un po’ strambi e che l’animale fosse di poca compagnia.
Saranno state circa le tre di notte quando fui svegliata da strani rumori che mi misero in allarme: sembrava che qualcuno si stesse muovendo in casa di soppiatto.
Dopo un po’ d’incertezza, con il cuore, in gola mi avviai al buio lungo il corridoio e, mentre pensavo al modo migliore per difendermi in caso di invasione di un intruso, ricordai di avere un ospite che aveva l’abitudine di dormire di giorno e di essere attivo di notte.
Mi rilassai, accesi la luce e mi trovai faccia a faccia con il piccolo roditore che, colto di sorpresa dalla mia apparizione inaspettata o forse dalla luce, si spaventò ma, invece di fuggire, mi affrontò con un coraggio che non gli imputavo.
Si alzò sulle zampe posteriori e iniziò a squittire come un indemoniato con le zampe anteriori aggrappate alle sbarre (tipo un piccolo King Kong inferocito), gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, mettendo in mostra i suoi prominenti denti da roditore con aria minacciosa.
Non mi aspettavo un’accoglienza simile e, dopo l’iniziale sorpresa, iniziai a ridere soprattutto quando constatai che i rumori erano stati causati dal fatto che in poche ore aveva cambiato completamente l’arredamento della gabbia spostando al piano superiore tutta l’attrezzatura ludica in suo possesso attraverso il tubo di plastica che collegava i due piani e, soprattutto, aveva consumato quasi tutto il cibo che gli avevo dato.
«Alla faccia della dieta, il piccolo peloso si è dato parecchio da fare», considerai, «peccato sia così nervoso e diventi aggressivo quando si sente minacciato; questo è un curioso risvolto del suo carattere che non avrei mai immaginato».
Tenuto conto che i miei orari non combaciavano con i suoi e che dovevamo convivere pacificamente ancora un paio di settimane, nei giorni successivi m’impegnai per cercare di socializzare e, la sera, quando si affacciava timidamente sulla porta del suo rifugio, gli porgevo insalata fresca o frutta.
Riuscii a rassicurarlo e a instaurare un bonario anche se incerto rapporto che s’interruppe quando tornò la sua famiglia.