Scrivere come cura

Alda Merini, scomparsa qualche anno fa, è stata una delle più grandi poetesse del nostro tempo. Sue sono le parole che io amo spesso ricordare: “… perché il pensiero di chi legge poesia si apre verso altri orizzonti …”
La Merini è stata un personaggio molto particolare, sia per la sua prosa che per il suo stile di vita e modo di porsi.
Fu insignita di molti Premi letterari e di poesia, ma ebbe purtroppo una vita molto travagliata da gravi problemi personali e di salute.

Alcuni decenni fa fu internata per ben dieci anni in manicomio, insieme ai pazzi, anche lei
– da qualcuno – veniva considerata tale, e subì terapie farmacologiche potentissime ed elettroshock, violenze e torture fisiche e psicologiche che l’hanno segnata.
Ma uno psichiatra che l’aveva in cura la incitò a scrivere, a “buttare fuori”, sulla carta, tutto il dolore che si portava dentro.

Scrivere aiuta, io lo so, lei lo sapeva, e forse – ora – anche tu lo hai capito…
E lei scrisse.
Centinaia di versi, di poesie, di riflessioni; le ha piante, urlate, vomitate fuori dall’anima, quasi senza usare punteggiatura, e piano piano, uscì dalla malattia e tornò nel mondo “normale” (???) dove si fece conoscere e apprezzare per le sue liriche dolorose, profonde, suggestive, viscerali, ma anche dettate da un animo dolce, profondamente credente e perennemente innamorato.


Roberto Vecchioni le ha dedicato questa bellissima canzone, interpretando “lei” che canta (urla e piange) il suo dolore e le sue mancanze dall’interno di una prigione ovattata, il manicomio.


Da ascoltare.