Il gran ballo stava per cominciare.
Già i domestici avevano acceso le decine di candele dei grandi lampadari e li avevano issati al soffitto, già le carrozze cominciavano ad arrivare, facendo scricchiolare la ghiaia del cortile sotto le grandi ruote di legno.
Gli invitati scendevano da soli o a coppie, ed erano accolti all’ingresso da un servitore in livrea, che li consegnava al valletto incaricato di scortarli fino al salone del ballo.

Era estate, e quasi nessuno si soffermava a lasciare al guardaroba un mantello o una stola: gli uomini erano vestiti con abiti leggeri o con l’uniforme estiva, le donne avevano l’occasione di mostrare le loro
grazie senza rischiare un’infreddatura o peggio, qualche fastidioso dolore reumatico.

Anche la sua carrozza arrivò nel piazzale e fece il largo giro fino all’ingresso, anche lei si apprestò a scendere dal piccolo gradino, stando bene attenta a non inciampare nel lungo abito. Un incidente di quel genere l’avrebbe resa ridicola agli occhi della servitù, che non aspettava altro per avere qualcosa su cui sghignazzare, lo sapeva bene, ma era troppo esperta di quelle cose per commettere errori del genere.

Scese dunque con attenzione sul lungo tappeto che portava all’ingresso, si erse nella sua non eccelsa statura e si avviò con tutta la compostezza di cui era capace verso il ricevimento.

Erano passati i tempi in cui faceva quegli ingressi al braccio di suo marito, condividendo lo splendore della sua uniforme di Maresciallo di Francia, ma quello stupido non aveva saputo evitare di farsi ammazzare in una delle tante battaglie che si combattevano dentro e fuori i confini per le questioni più banali – potere, naturalmente, e soldi – e quindi doveva rassegnarsi al suo ruolo di vedova ancora abbastanza giovane, e tutt’altro che inconsolabile.

Certo, non erano quelli i balli a cui andava una volta, aveva dovuto rinunciare con grande dolore agli splendidi ricevimenti di Parigi, la capitale del mondo, semplicemente perché ormai nessuno si ricordava di invitarla, ma si diceva che era meglio essere prima tra gli ultimi che ultima tra i primi, e lì nella campagna il suo modesto titolo e le sue non eccezionali ricchezze facevano ancora una certa figura. Anche il suo aspetto si manteneva accettabile, almeno secondo la sua opinione: il seno strizzato dal corpetto faceva bella mostra di sé nell’ampio décolleté e non mostrava rughe che ne facessero indovinare l’età, il volto ricoperto di cipria era candido e sereno e se la pelle delle braccia cominciava ad essere un po’ floscia, si poteva ben nascondere nelle strette maniche dell’abito che lasciava le spalle scoperte.

L’insieme non doveva essere disprezzabile, se ancora riceveva le galanterie dei mariti delle sue amiche e, soprattutto, la corte disinteressata degli ufficiali di servizio nella zona.

Fu con una certa sicurezza che entrò quindi nel salone, sorridendo agli altri invitati e scambiando le facezie di rito. Pesanti effluvi di profumo stagnavano nell’aria, e lei stessa vi contribuiva generosamente. Era peraltro necessario per nascondere gli odori corporali, ma spesso l’insieme era dissonante e creava un certo fastidio.

L’orchestra aveva già cominciato a suonare, ma per il momento non ballava ancora nessuno. Era abbastanza povera, solo sei elementi, ma sapeva bene come fosse difficile in periferia mettere insieme dei musicisti che sapessero andare a tempo, ed erano meglio pochi ma buoni che tanti e pessimi. Stava proprio invecchiando, pensò con leggero fastidio, pensava per proverbi.

Con fare garbato percorse i lati della sala, salutando i conoscenti e facendosi presentare agli altri invitati, fingendo di interessarsi a quello che raccontavano così come gli altri fingevano di ascoltare quello che diceva lei. Intanto si guardava intorno, cercando di cogliere qualche sguardo interessato da incoraggiare per concludere degnamente la serata.

Ma adesso era presto, il ballo era appena cominciato, non era il momento di mostrare la merce, la vendita poteva aspettare.

Fu invitata a ballare, prima da un vecchio conoscente e poi, come di dovere, dal padrone di casa. Volteggiando per il salone si lasciò portare per qualche istante dalla musica, strattonata da una parte all’altra, badando soprattutto a non farsi schiacciare i piedi. Era una sofferenza da sopportare stoicamente, il difficile era mantenere un sorriso di circostanza per mascherarla.

Finalmente fu libera dagli impegni di protocollo e poté ritirarsi in un angolo per riprendere fiato ed osservare la folla degli invitati. La maggior parte delle persone erano le solite – e per forza era così, in quel luogo dimenticato da Dio! – ma qualcuno poteva anche essere interessante. Quel sottoufficiale, per esempio. No, troppo giovane, i giovani davano sempre dei problemi. Forse quel forestiero che aveva l’aspetto di un mercante…

«Permette?»

Distratta dai suoi pensieri, non aveva notato l’alto gentiluomo che adesso le porgeva la mano, con il gesto inequivocabile di volerla invitare a ballare. Impertinente!
Ma interessante. L’uomo era vestito di chiaro, aveva una fronte alta, spaziosa, penetranti occhi colore del ghiaccio, un sorriso appena accennato sul volto. Età indefinibile, non giovane ma nemmeno anziano (come lei, pensò). Certamente sicuro di sé, visto il modo in cui l’aveva invitata.

Quasi contro la sua volontà si era alzata e si era lasciata accompagnare al centro della sala. L’orchestra attaccò un valzer inglese e le coppie cominciarono a muoversi lentamente.

Prima ancora che lei assumesse il consueto atteggiamento prudente, si sentì condurre con sicurezza nella danza. Il suo compagno si muoveva con tempismo perfetto, postura regale, una leggerezza degna dei migliori maestri di ballo. Dopo qualche istante si abbandonò nelle sue mani, la schiena leggermente all’indietro, lasciandosi portare in ardite elevazioni e ampi passi armonici. Le sembrava di volare, e forse volava davvero, in quel ballo che sembrava non finire mai.

La sala vorticava intorno a loro, le altre coppie le lasciavano il passo, intimidite dal loro virtuosismo, e comunque il suo compagno sapeva evitarle con grazia, senza mai un’esitazione. Nella vertigine che provava, non si guardava più intorno, non avvertiva stanchezza, non sentiva il tempo passare. Non si domandava neanche come invitare quell’uomo affascinante a casa sua, alla fine della serata, niente adesso importava.

Il suo ballerino non mutava mai espressione, aveva sempre sul volto lo stesso sorriso gentile, sempre lo stesso passo ampio e sicuro, ma lei ora cominciava ad avvertire qualcosa di diverso in sé stessa, un peso, una certa rigidità che non le era consueta. Uscendo da quella trance ipnotica guardò la mano che teneva in quella di lui, e con orrore vide le vene sporgenti, le scure macchie senili che segnavano la sua pelle fino allora perfetta. Con un oscuro presentimento gettò uno sguardo ad uno dei grandi specchi ai lati della sala e si vide come un’anziana signora, il volto rugoso e le guance cascanti, il portamento stanco, i capelli senza più l’antico splendore.

Angosciata si rivolse al suo compagno, che continuava imperturbabile a ballare.

«Signore»  disse, «credo di non stare bene, ho delle strane visioni.»
«Niente di quello che lei vede è stano, mia signora, è solo la realtà.»
«La realtà? Ma dove sono? E chi è lei?»

L’uomo sorrise, senza perdere il passo.

«Io sono il Tempo signora, e mi creda, dove è non importa, io sono ovunque e con me porto via ogni cosa.»