Entrai nella capanna in punta di piedi, superando un piccolo spiazzo in terra battuta che faceva da atrio e anticamera insieme. Il silenzio era rotto soltanto dal cinguettare degli uccelli e dai mille piccoli rumori del bosco, ma dall’interno un leggero fruscio mi diceva che il padrone di casa non era uscito.

Ero venuto a cercare il Fratello Maggiore, così era chiamato quell’eremita, per approfondi­re i miei studi sul pensiero cinese prima di stabilirmi a Waldzell, come mi era stato ordinato di fare, e già il viaggio per raggiungerlo era stato una continua meraviglia, attraverso una natura che sembrava volermi stupire ad ogni passo. Ma sono così le terre dell’Engandina!

Mi spinsi ancora avanti, da una parte temendo di disturbare e dall’altro non volendo apparire furtivo, e finalmente lo vidi. Era un uomo alto e sottile, avvolto in una tunica di lino giallo-gri­gio, gli occhi azzurri calmi ed intelligenti. Vidi mille e mille anni di storia in quegli occhi, la con­sapevolezza sapiente del senso della vita e la quieta accettazione del suo trascorrere. Nelle sue mani danzavano gli steli di millefoglie attraverso cui stava interrogando l’Oracolo, divisi in mazzetti che riuniva e separava con antica sicurezza.

Vidi, e capii che da quel mondo ero comunque escluso, che la saggezza andava conquistata nella vita di ogni giorno, e che pensare di impararla dai libri è come credere di diventare ricco contando il denaro degli altri.

Il Fratello Maggiore finì di tracciare le linee dell’esagramma sul foglio che aveva sulla destra, posò il pennello nel piccolo calamaio di porcellana bianca e i bastoncini alla sua sinistra, poi alzò gli occhi su di me.

«Joseph K.» mi salutò, come se mi avesse sempre conosciuto, «sei qui per me o per l‘I King

Non seppi rispondere. Lui sorrise e mi invitò a sedere, poi mi porse una tazza piena di tè, quin­di sollevò  la teiera con entrambe le mani e me la mostrò. Era una splendida tetsu-kyūsu di ghisa nera, senza alcun fronzolo che ne appesantisse la linea semplice ed elegante.

«Allora sei venuto per il mio thè» disse.

Stavo per mormorare un ringraziamento, ma lui cominciò a versare il contenuto della teiera nella tazza già piena, e il liquido ambrato colò sul tavolino e sul pavimento.

«Ma la tazza è piena, non può contenerne altro tè!» osservai, ritrovando la voce.

«È vero» disse lui «e allo stesso modo tu non potrai ricevere da me alcun insegnamento se prima non svuoterai la tua mente da tutte le idee che la riempiono.»

Compresi quello che voleva dire il Maestro e chinai la testa in rispettoso silenzio, mentre lui prendeva i millefoglie. Restai nella capanna per sei lunghi mesi.