– Non temete che l’inquisitore possa giungere fin qui e portare a termine la sua opera?-
– All’interno di questo luogo godiamo di protezioni tanto discrete quanto potenti. Qui Catilina è al sicuro. –
– Eppure, nonostante queste autorevoli protezioni, vostra sorella è stata brutalmente oltraggiata. –
– La protezione dei nostri mecenati non si estende a così largo raggio ma è circoscritta al perimetro delle mura ospitaliere, e Catilina era in missione quando è stata arrestata.-
– Dite di esser medichesse, ma a quale ordine appartengono i simboli della croce e del pugnale che così vistosamente sfoggiate?-
– La nostra consorteria non è ascritta ad alcun ordine, perché segreta: in pratica noi non esistiamo e non esiste neppure questo luogo, anche se è materialmente visibile ed è stato possibile, per voi, varcarne il cancello. La protezione di cui godiamo, all’interno di queste mura, ci rende invisibili, e ciò che non esiste, Andres, non si può né corrompere né perseguitare. Siamo medichesse, levatrici, farmaciste e volontarie, laiche consacrate a Dio, come testimonia il simbolo della croce, ma ricusiamo il Christus Medicus e pratichiamo la dissezione in nome di una scienza accreditata dalla conferma sperimentale. Il pugnale… è la nostra ultima difesa per non cadere vive nelle mani dell’inquisitore e Catilina non deve averne avuto il tempo necessario. –
– Ma Dio non ammette il suicidio. Sfuggite alle fiamme del rogo per precipitare in quelle dell’inferno. Una ben strana salvezza la vostra –
– Dio è molto più clemente di quello che vogliono farci credere, e, se ci ha creati con un corpo vulnerabile di carne non è per permettere ad altri di farne scempio. Conta il fine per cui si muore, ed il nostro fine è la salvaguardia della vita. E di questo Dio ne è al corrente. Ma non vi abbiamo fatto giungere fin qui per convertirvi alla nostra causa quanto piuttosto per avvalerci del vostro talento. –
–  Il mio talento è impotente verso le anime transfughe. Fallirò. –
– Il fallimento è contemplato in ogni nostro atto quotidiano, Andres, ma questo non c’impedisce di tentare.-

Andres Rubio, affatto convinto della riuscita del suo esperimento, s’apprestava a tentare l’ipnosi su Catilina Naveros, barbaramente torturata e in agonia.
Chino sul lettuccio in penombra avrebbe provato a suggestionarne il corpo e la mente, cancellando il dolore fisico e addolcendo i ricordi. Ma Catilina rimaneva cieca davanti alle mani dell’ipnotista e sorda al richiamo della sua voce quando, emergendo per un attimo dalle insondabili regioni in cui aveva trovato rifugio la sua coscienza alienata dagli orrori della camera di tortura, aveva percepito l’ombra dell’uomo che la sovrastava e, credendo di essere ancora prigioniera dell’inquisitore, aveva emesso un flebile lamento, s’era coperta il volto con le mani e reso a Dio la sua anima stremata.

Ed ecco che l’anima di Catilina Naveros s’è involata da sotto le ciglia: una fuga per sfuggire a qualsiasi tentativo di resurrezione.
Maria Engracia tira via il pesante drappeggio e con quello il buio che sigillava la stanza, e la luce che irrompe con chiarore di deserto mostra la giovane morta nella sua mistica bellezza di Madonna.
Andres Rubio s’è appartato in un angolo predisponendosi alla regia di un’allucinazione collettiva.
Il letto, dove giace la martire, è l’altare davanti cui si genuflettono i presenti, abbagliati dalla fosforescenza di quel riverbero da deserto che cancella contorni e particolari, non vedono i segni delle torture e le bende intrise di sangue, e ai loro sguardi Catilina appare miracolosamente integra.
Smarriti, s’accalcano nella stanzetta come pastori nel presepe, increduli che la grazia divina abbia scelto proprio loro come testimoni di quel miracolo.
Gli spettatori a cui Dio si è rivelato sono i reietti e i diseredati, gente che non possiede nulla, nemmeno le idee, riflette Andres dal suo angolo invisibile, attento che lo stupore della folla non sfoci in caos. E’ consapevole che per questa regia dovrà tener conto dalla sua pratica dei bassifondi dove stomaci e cervelli sono allo stesso livello denutriti, e così dovrà dosare in piccole, e più digeribili porzioni, la fragilità delle menti, caratterizzando quel miracolo con un tocco di umano, da tramandare, per chi v’assiste, come un’ eredità non di moneta ma di prestigio.

Io c’ero, potrà affermare chi è al momento presente.
Mio padre ne è stato testimone, racconterà un figlio
Il mio bisnonno ha visto brillare l’aureola sul capo della martire, qualcuno continuerà  a dichiarare negli anni a venire.

Tutti avranno visto senza davvero vedere: è questo il miracolo orchestrato dall’ipnotista.

 

Andres era riuscito ad intercettare nella piccola folla il suo assistente, con al seguito l’inseparabile fagiano, mentre tentava di fendere la calca in senso inverso, per guadagnare l’uscita e darsi alla fuga.
Galeno, ignorando i motivi veri del rapimento, aveva presunto un qualche oscuro machiavellismo ordito ai loro danni, parimenti escogitato dalle autorità governative o da quelle ecclesiastiche, che in quel periodo avevano sensibilmente rincrudito le pene, (i primi con la minaccia della galera e i secondi con quella dell’inferno), verso i giocatori d’azzardo, i borseggiatori, i giullari, i taumaturghi ed i bestemmiatori.
Sfruttando le sue oramai esauste energie mentali, Andres si predisponeva, con la partecipazione inconsapevole di Galeno, a perfezionare, con un tocco geniale, quel suo piccolo miracolo, affinché potesse differenziarsi da tutti gli altri, precedenti e futuri.

Maria Engracia Naveros: questo miracolo, Andres, è opera vostra, ma sarà opportuno non farne parola.
Andres Rubio: non importa il nome dell’artefice, ciò che conta è che si sia realizzato.

 

 Galeno ha quasi guadagnato l’uscita quando avverte improvvisa l’urgenza di tornare indietro ed entrare nella stanzetta gremita, dove egli è il solo ad ignorare il miracoloso evento.
Avanza in stato di trance col fagiano che lo guida fendendo la folla a colpi di becco.
Sta di fatto che questa perfomance, pagliaccesca e fuori tema, accolta all’inizio con malcelata meraviglia e molti improperi, subito espiati sul posto con un Ave Maria o un Pater Nostro, ha stemperato con note da baraccone quell’atmosfera già ultraterrena, con la luce che irradia remota a trasformare in altare da cattedrale il lettuccio che accoglie le spoglie mortali di Catilina.
Apertamente si ride quando il fagiano si pone al capezzale della santa, quasi fosse un arcangelo,
seppur nessuno interpreta quello spettacolino da fiera come un sacrilegio, ma piuttosto un divertimento escogitato dallo Spirito Santo per far volare Catilina in paradiso ridendo.
E’ un miracolo all’insegna dell’allegria, diverso da tutti gli altri accaduti nel passato raccontati nei libri della Chiesa, più solenni ma meno partecipati, perché in nessuno si fa menzione di una rappresentazione come quella che sta andando in scena ai lati del capezzale di Catilina: alla sua destra l’uccellaccio arruffato e con una buffa aria mistica, e alla sua sinistra Galeno, in piedi su una seggiola con il sacabuche in mano e lo sguardo incantato su una nicchia nel muro.
Talmente concentrato che non sente le risate della folla e neppure gli sfottò, perché sta veendo qualcosa che nessun altro vede.
Una visione solo a lui concessa

Insorge la folla contro quella discriminazione: davanti a Dio non si è tutti uguali?
S’alzano le voci e i toni. Non accettano che tra loro ci sia un privilegiato.

– Quando gli ultimi saranno i primi? – Chiede una voce sarcastica
– Di questo passo mai, se la precedenza l’hanno perfino i nani – Ribatte uno in tono amaro.
– Facciamolo sloggiare, e a turno saliamo sulla sedia. –  Propone uno tra gli applausi.

Ma pure c’è qualcuno che prende le sue difese

– Non sta facendo nulla di male, lasciatelo stare. –  Interviene una donna
– Magari è tocco e sorride al nulla. –  Le dà man forte un’altra
– Io lo conosco, gira per i mercati con quell’uccellaccio – dice un uomo indicando il fagiano –  è innocuo, tranne quando fruga nelle scarselle. –

Qualcuno ride alla battuta. Molti s’indignano.

Andres sa che quel loro malumore non germoglia dalla rabbia ma dalla delusione del sentirsi ancora una volta esclusi. Una beffa. L’ennesima. E di sicuro non l’ultima.
Valuta che deve perfezionare il suo miracolo, confezionare una visione condivisa di fruscio d’ali e voci di vento. Corre a spalancare porte e finestre affinché il mormorio degli alberi e l’eco del vento propaghino fra le pareti con il loro sussurro ultraterreno. Non può suggestionare le menti di tutti ma se riesce a stimolare le più sensibili, le più fantasiose, allora ci sono buone possibilità di contagiare gli altri.
Ed è questo che accade quando la malia del giardino s’insinua nella stanza disadorna con le sue ombre di filigrana bisbiglianti di vento: fuggevoli contorni che si materializzano solo per un attimo alla mente prima ancora che alla vista. Ma tanto basta per compiere l’incantesimo, che una donna, cadendo in ginocchio, dice che un angelo le è passato accanto sfiorandola con le ali.

Dove? Chiedono tutti
Proprio qui, risponde quella, indicando lo spazio fra il suo braccio e quello del suo vicino.
L’ho sentito anch’io passarmi vicino, ribadisce un giovane, e dai fruscii nella stanza credo che debbano essercene altri. Non li sentite?
E’ vero, conferma un uomo, ho sentito odore d’incenso quando mi sono passati vicino.
Sono gli angeli che scortano le anime in paradiso. Sono venuti a prendere la santa, spiega un’anziana facendosi il segno della croce.

Galeno, sul suo piedistallo di fortuna, è sempre immobile concentrato nella sua visione, che differisce da quella della folla.
Un’apparizione ad personam, dove la nicchia nel muro è diventata il “golfo mistico”  (e mai termine fu più appropriato) dove gli angeli musicanti stanno accordando gli strumenti o si dilettano nell’improvvisazione. Galeno, in piedi sulla seggiola, è pronto, quando attaccheranno i fiati, a dar man forte col suo sacabuche.

Nel frattempo, gli angeli addetti alla traslazione dell’anima di Catilina si sono posizionati ai lati del suo letto, seguendo un cerimoniale invariato dall’inizio dei secoli, talmente ben collaudato che anche gli angeli minori, all’occorrenza, sarebbero in grado di eseguire. Poi solleveranno i lembi del lenzuolo su cui lei giace, e sulle dolci sinfonie della celeste orchestra s’involeranno in cielo esibendosi in spericolate volute acrobatiche. Ma è alla scena finale, quella dell’assunzione di Catilina in paradiso, che sono riservati gli effetti speciali più sofisticati, enfatizzati da un portentoso assolo di tromba che squarcerà la buia nube da cui eromperà la luce di Dio, e verso cui s’involerà
Ma qualcosa in quel meccanismo, nei secoli lungamente testato, s’inceppa, che l’angelo trombettista  invano soffia nell’ancia da cui non esce alcun suono. Ritenta ancora, e ancora, ma lo strumento rimane muto, impedendo alla schiera degli angeli di prendere il volo
Tutti guardano verso l’alto, col fiato sospeso, sorpresi da quell’imprevedibile fallimento divino quando da basso giunge in soccorso Galeno col suo sacabuche, esibendosi in un assolo fenomenale, e così potente da infrangere la barriera del suono, irrompere nel silenzio del purgatorio e coprire il clangore dell’inferno, spianando, al corteo degli angeli, la strada verso il paradiso.
Il miracolo è compiuto e la folla è in delirio.
Galeno, che in quell’assolo ci ha messo l’anima, s’accascia sfinito sulla sedia, ma è sollevato di peso e portato in trionfo dalla folla osannante che vede in lui il suo santo laico, insieme a Dio coartefice di quel miracolo

Nel suo angolo invisibile, Andres Rubio, stremato da quella regia oltremodo impegnativa, può finalmente abbandonarsi al sonno.