Il pittore ha già approntato la tela sul cavalletto, di fronte a sé un grande specchio.
Oggi ha deciso di dipingere un autoritratto. Questa mattina si è svegliato stranamente inquieto, ha fatto una colazione veloce e si è ritirato subito nel suo studio.
E’ un bell’uomo, capelli e barba castani, occhi scuri dallo sguardo vivo e profondo.
Comincia a delineare sulla tela il contorno del capo e del viso, poi lo completerà coi suoi lineamenti con grande cura. Prepara i colori sulla tavolozza, prende un pennello e…
Un suono stridulo e acuto alle sue spalle, alza gli occhi verso lo specchio e la vede, l’orribile scheletrica figura, un teschio dalle orbite vuote, la bocca spalancata in un ghigno spaventoso,
le sue mani artigliano un violino e con l’archetto produce quel suono che graffia l’aria e le orecchie.
Il pittore resta immobile, inorridito stringe con forza il pennello e la tavolozza quasi lo potessero proteggere.
“Chi sei?” chiede senza voltarsi, guardando l’immagine riflessa nello specchio.
“Lo sai”. Risponde con voce roca e cavernosa.
“Cosa vuoi da me?”
“Lo sai”.
“Vattene, sono ancora giovane, non voglio morire, ho ancora tanto da fare, tanto da dipingere, voglio vivere”.
Una risata breve e gracchiante gli gela il sangue nelle vene.
“Credi che a me importi se vuoi dipingere ancora dieci anni, cento anni? Credi che faccia distinzioni fra un essere umano e l’altro? Il tuo tempo è scaduto! Vedi questo violino? Non hai notato niente? Guardalo bene”.
Il pittore si fa coraggio e osserva lo strumento:
“Di sicuro ha un suono orripilante, ma ora mi accorgo che ha una sola corda anziché quattro”.
“Bravo, proprio così! Sto suonando l’ultima parte della tua vita. Quando la corda si spezzerà sarà la fine. Preparati”.
“Aspetta! Ho un’idea…”
“Oh, non cominciamo coi piagnistei, fate tutti così quando arrivo io… aspetta, ancora un momento… non sono pronto… basta! Andiamo”.
“No, la mia è un’idea diversa, resta lì, dietro di me, non ti muovere, lasciami finire il quadro; sto facendo l’autoritratto, dipingerò anche te. Accetti?”
La morte smette di suonare, emettendo un verso gutturale di soddisfazione:
“Vuoi dire che farò la modella?”
“Sì sì, farai la modella e resterai per sempre immortalata sulla tela e tutti ti ammireranno”.
Solleticata nella sua vanità accetta:
“D’accordo allora, ma sbrigati che ho altri esseri da andare a prendere”.
“Molto bene – dice un po’ rinfrancato il pittore – mettiti qui proprio dietro la mia spalla, tieni per bene il violino fra le mani e sorridi, però ti prego smetti di suonare che mi deconcentri”.
Mugugnando appoggia l’archetto alla corda senza suonare.
Con sapienti pennellate il pittore dipinge il proprio volto, lentamente, mentre la morte lo osservava torva, quindi dipinge anche l’orribile figura alle sue spalle.
“Ho quasi finito”.
“Sbrigati, sono stanca”.
“Ecco, ho fatto, ti piace?”
Si rimira compiaciuta:
“Sei davvero bravo, peccato”.
“Peccato? Cosa vuoi dire?”

(finale comico)
“La corda sta per spezzarsi, mi dispiace”.
Il pittore pensa velocemente come può ancora guadagnare tempo:
“Un momento! Non te l’hanno mai detto che hai un fisico da ballerina?”
“Eh?”
“Sì, sei magra, asciutta, perfetta per un bel flamenco”.
“Io???”
“Certo, appoggia il violino, prova”.
“Non ho le nacchere”.
“Usa le tue ossa”.
La morte si sposta al centro della stanza:
“Va bene qui?”
“Benissimo!”
Ed ecco l’ossuto mostro cominciare a dimenarsi, alzare le braccia, agitare le gambe facendole urtare fra loro producendo il suono delle nacchere. Il pittore intanto disegnava velocemente sulla tela le corde mancanti del violino.
“Vado bene cosììì?” Ormai lo scheletro era lanciatissimo nella danza.
“Sììì brava!!!”
Una volta completate le quattro corde sulla tela, il pittore prende il violino con una corda e lo sbatte violentemente contro quel mostriciattolo spagnoleggiante. Le ossa cadevano e si ammonticchiavano sul pavimento suonando l’ultima naccherata.

Il pittore guarda soddisfatto il quadro con il violino intatto, integra le corde mancanti a quello della morte e sospirando dice: “Che bello avere tutta la vita davanti!”