Rielaborazione del “Fuggiasco”
di Graziella Dimilito

REWIND

Si è chiuso la porta alle spalle, sta ancora tremando.
Lo accoglie una stanza fredda e buia.
Ma non è il freddo che attanaglia le carni quello che sente, è più profondo; sono stalattiti di ghiaccio che gli trafiggono l’anima.
Nubi dense e gonfie si rincorrono in un cielo che si fa scuro e minaccioso.
Dai vetri opachi della finestra si intravede il nastro torbido del fiume che scorre veloce.
Gli arbusti che sporgono dal greto si lasciano piegare docili dall’acqua impetuosa, quasi sapessero che passata la tempesta si risolleveranno.
A lui no, non accadrà.
Mio Dio, cosa ha fatto!
La mente ha resettato, per difesa, ma lui sa che qualcosa di orribile deve essere successo. Questa consapevolezza gli serra la gola come un laccio di cuoio bagnato indurito dal sole.
Qualcuno deve essersi fermato sul pianerottolo, la luce delle scale che filtra da sotto la porta per un attimo si è offuscata.
Dal passo strascicato deduce che deve essere uno dei due anziani che gestiscono la locanda. Sono anni che viene a caccia da queste parti e non si è mai accorto dell’esistenza di questa struttura. Non hanno fatto domande quando è arrivato nè hanno preteso i documenti, ha chiesto una camera e gliel’hanno data, così, semplicemente.
C’è un gran silenzio qui, neanche i due bambini che ha intravisto nella hall si sono interessati a lui. Meglio, non vuole parlare con nessuno, ha solo bisogno di un posto dove riordinare le idee e mettere a fuoco i contorni di quanto è accaduto.
Sotto la giacca schizzi di sangue rappreso gli danno conferma che il fucile ha centrato il bersaglio.
«Gli ho sparato. Non doveva andare così, volevo solo spaventarli, leggere il terrore sui loro volti, fargli vedere la morte in faccia. Niente in confronto a quello che mi hanno fatto loro.
Ma giuro, non era mia intenzione ucciderli, non volevo, davvero!» singhiozza, tenendosi il capo fra le mani.

Passeranno giorni prima che si accorgano della loro assenza e quando avranno trovato i corpi non ci vorrà molto prima che risalgano a lui.
Se solo potesse tornare indietro, incartare le carte, cambiare il corso degli eventi.
Se solo avesse messo a tacere quel tarlo che da mesi lo consuma senza senza farlo dormire la notte. Che certe cose si sentono, tardi, ma si sentono. I segnali c’erano tutti ma ha preferito non vedere, per paura di scontrarsi con una realtà troppo dolorosa. Difficile accettare il tradimento di chi ami.
Ha tirato dritto anche quando lei ha cominciato a passare fuori gran parte dei weekend.

«Bernard sta per chiudere un contratto importante ed è necessaria la mia presenza», diceva, e lui si era imposto di crederci.
Bernard era il suo migliore amico, gestiva insieme al padre una ditta di import ed export a Salisbury, nella contea del Wiltshire, e da quando l’interprete dell’azienda era rimasta incinta, aveva assunto Nelly, laureata in lingue, per sostituirla.
La “sua” Nelly.

«Allora, cosa ha scoperto?» la domanda era rimasta nell’aria, un istante che gli era parso infinito. L’investigatore che aveva ingaggiato aveva preso tempo prima di porgergli la busta.
Settimane di appostamenti, pedinamenti e intercettazioni per appurare quanto in cuor suo già sapeva.
Le foto erano state un pugno nello stomaco.
Rabbia e dolore gli erano esplosi dentro in egual misura; aveva dovuto fare violenza a se stesso per mantenere il controllo. Una cosa era certa: non si sarebbe accontentato di inchiodarla con quelle prove, voleva di più. Voleva umiliarla cogliendola sul fatto; lei e quel bastardo infame di Bernard. Doveva solo pazientare e trovare il momento giusto.

L’occasione si era presentata proprio quel fine settimana.
«Il gate chiude alle 18, sarà bene che mi affretti, non vorrei trovare traffico», gli aveva detto sua moglie mentre infilava il trolley in bauliera.
Era Parigi la meta, questa volta. Lo aveva salutato con un bacio tiepido sulle labbra ed era partita.
A lui era bastata una manciata di secondi per arrivare al vialetto dove aveva parcheggiato la macchina presa a noleggio il giorno prima per non dare nell’occhio. Ferma al semaforo Nelly non si era accorta di essere seguita, anche perché si era tenuto a debita distanza. Allo scatto del verde non aveva imboccato la strada che portava all’aeroporto ma aveva seguito le indicazioni per l’Hampshire. Come aveva sospettato: il cottage di Barnaby, dove mille volte si erano fermati durante le battute di caccia, era diventato il loro rifugio d’amore.
La rabbia si era ripresentata con rinnovata violenza, le mani strette sul volante tanto da far diventare le nocche bianche e il desiderio irrefrenabile di usarlo, quel fucile che aveva nel portabagagli.
Il sole era tramontato da un pezzo quando giunsero a destinazione. Aveva lasciato che proseguisse da sola preferendo abbandonare la macchina in uno spiazzo più a valle. Conosceva quei luoghi a menadito, avrebbe aspettato che calasse la notte e poi…
E del poi non ricorda più niente.
Ha preso una decisione, deve costituirsi,
questa incertezza lo sta uccidendo.
Cerca nelle tasche un telefono che non trova, ce ne sarà sicuramente uno al piano terra. Quando scende le scale lo sorprende un bagliore talmente accecante che deve portarsi la mano davanti agli occhi. Sulla soglia spalancata c’è l’uomo anziano che lo ha ricevuto la sera precedente, sembra più alto, più giovane, imponente. Tiene per mano i due bambini e lo invita a seguirli. Dal fascio di luce che li avvolge gli arriva un senso di quiete.
«Vai anche tu, Harry, è tempo.», la voce della locandiera lo ha distolto da quella scena surreale.
«Andare dove? Non capisco», le risponde smarrito.
Fiduciosa la donna gli mostra delle pagine di quotidiani appoggiate sul bancone della reception.
«Il fiume Avon ha restituito i corpi dei due gemellini O’Connor, annegati nei pressi di Malmesbury…» recita la prima. A corredo dell’articolo la foto dei due fratelli che sorridono all’obiettivo vestiti da supereroi.
Si gira a guardare i due bambini fermi sulla porta: sono loro.
«Che sta succedendo qui?» esclama allarmato.
Nessuna risposta.
Una brezza leggera muove l’altra pagina catturando la sua attenzione.
«Dopo otto anni di processo l’imprenditore Barnaby Jackson è stato assolto dall’accusa di omicidio dell’amico Harry Moore. La corte ha stabilito che si è trattato di legittima difesa. La vittima ha minacciato l’uomo con un fucile e nella colluttazione è partito un colpo…»
D’istinto si porta la mano al petto, due dita affondano a sinistra dello sterno.
«No! No, non ci credo, non può essere vero!» urla in preda al panico.
«Harry, ti prego», lo supplica la donna,«vai verso la luce.»
Non vuole ascoltarla. È un incubo. Non può essere che un incubo. È già per le scale quando la sente rivolgersi all’uomo dicendo: «Harry non è pronto. Non ancora.»

Si è chiuso la porta alle spalle, sta ancora tremando.
Lo accoglie una stanza fredda e buia.
Ma non è il freddo che attanaglia le carni quello che sente, è più profondo; sono stalattiti di ghiaccio che gli trafiggono l’anima.
Nubi dense e gonfie si rincorrono in un cielo che si fa scuro e minaccioso.
Dai vetri opachi della finestra si intravede il nastro torbido del fiume che scorre veloce.
Gli arbusti che sporgono dal greto si lasciano piegare docili dall’acqua impetuosa, quasi sapessero che passata la tempesta si risolleveranno.
A lui no, non accadrà.
Mio Dio, cosa ha fatto!
La mente ha resettato, per difesa, ma lui sa che qualcosa di orribile deve essere successo…