“Dimmi o mia cara Venezia
se tu mi vuoi sposar…
Dimmi o mia cara Venezia, iolà
se tu mi vuoi sposar…”

“Il babbo mio non vuole
ch’io sposi un marinar…
Il babbo mio non vuole, iolà,
ch’io sposi un marinar…”

…….

Imparai questa canzone da piccola, me la insegnarono i miei genitori.
In casa si cantava sempre, quando ero bambina, e anch’io crebbi cantando, molto spesso, in casa, e nei momenti più disparati.
Non avevamo molto, anche se non mancava nulla, ma la voce… La voce, sì, la voce!
A volte con mamma e papà si facevano dei cori, ognuno di noi da stanze diverse, e ben presto da altre finestre aperte del caseggiato cominciavano ad unirsi altre voci canterine, quelle dei vicini, per infine aver quasi la sensazione di partecipare ad un inusuale festival canoro, con canti pressoché collettivi che si diffondevano nell’aria da un balcone all’altro, da una finestra all’altra, da un pianerottolo all’altro. Dieci famiglie, di estrazione semplice, case popolari, tanti bambini.
Anni ’60.
Gioia e condivisione.
Dove sono finiti quei canti? Dove si sono perdute quelle voci? Dove si sono arenati i ricordi?
Non canta più nessuno, oggi.
Nessuno.
Nemmeno i bambini.

Dimmi o mia cara Venezia,
se tu mi vuoi sposar…