Il pugno si abbatté con violenza sul tavolo, facendo sobbalzare pericolosamente la coppa di legno.
Il vecchio si affrettò a cingerla con le mani, per evitare che il vino si perdesse sul tavolaccio.
Lawrence fece un passo indietro.
«Io… mi dispiace, non volevo…».

Nella locanda era sceso il silenzio. I pochi avventori, perlopiù ubriachi o commercianti di passaggio che potevano permettersi il pernottamento al coperto dopo una giornata di mercato, si erano girati ad osservare la causa di quel trambusto che ravvivava la spenta atmosfera del locale. L’oste puliva alcune bottiglie, ma teneva sotto controllo la situazione ed era pronto ad intervenire con la mazza che nascondeva sotto il banco.
«Vai avanti» gli disse l’altro uomo che stava ascoltando, facendo cenno nel contempo all’oste di portare altro vino.
«Sì signore. Mi dispiace del mio scatto di nervi, ma sono ancora scosso, e quando mi si dà del bugiardo…»
«Sono certo che nessuno ne aveva intenzione» lo rassicurò l’altro.
Lawrence si guardò intorno, incerto.
«Signore, io sono ignorante, non sono capace ad esprimermi con le parole che usate voi, ma quello che ho visto…».
«Sì, appunto».
«Ecco, era una notte di tempesta… Sapete come succede da queste parti in ottobre: non è piovuto magari per tutta l’estate e poi in un giorno ne viene giù tanta da annegare persino i maiali…. Era una notte così, con i fulmini che squarciavano l’aria e i canali di scolo ai lati della via che erano diventati fiumi in piena… Io stavo cercando di rientrare a casa perché…».
«…Perché ti avevano cacciato fuori dall’osteria, tanto che eri ubriaco!» lo sbeffeggiò un altro avventore.
«Vede, signoria? Come faccio a raccontare se nessuno mi crede?» si lamentò Lawrence.

Il suo ascoltatore si alzò e si voltò verso l’uomo che aveva parlato. Infilò la mano in una borsa che portava alla cintura, ne trasse una moneta e gliela lanciò.
«Tieni, fatti una bevuta ma lasciaci in pace!».
L’uomo la prese al volo e si affrettò verso il banco.
«Dunque» riprese Lawrence, senza bisogno di farsi incitare ancora «pioveva come Dio la mandava, e io cercavo riparo passando il più possibile sotto i tetti, quando ho sentito un rumore di zoccoli alle mie spalle e…».
«Sì, sì. Questo l’ho già sentito, ma com’era quell’uomo?».
«Alto, altissimo. Cioé, no, volevo dire, il suo cavallo era altissimo, un vero stallone, nero. Sembrava uscito dall’inferno. E lui sopra, avvolto in un mantello tutto nero anch’esso, che cavalcava indifferente, come fosse assopito».
«E poi?».
«Ad un tratto si è fermato. Mi ha visto. Non so perché, ma mi sono fatto più piccolo che potevo, ma non riuscivo a sfuggire il suo sguardo…».
«Quindi l’hai visto in faccia?».
Lawrence si portò le mani agli occhi.
«No».
«Come no? Se hai detto…».
«Ho visto solo i suoi occhi, rossi come brace ma freddi come il ghiaccio, e intorno soltanto buio, come fosse nerofumo. Il cavallo scalpitava e gli zoccoli mandavano scintille sulle pietre della strada. Io… io ho congiunto le mani in preghiera ed allora ho sentito il suo riso, che sembrava provenire dal profondo dell’inferno. Un soffio di vento gli ha alzato il mantello e ho visto che sotto non aveva le braccia… Un attimo dopo sono diventato cieco e sono rotolato in una pozzanghera».
«Però la mattina dopo hai recuperato la vista» osservò il borghese vicino a loro.
«Ero cieco! Chiedetelo alla ronda, che mi ha accompagnato a casa tenendomi per il braccio!».
«Va bene così, Lawrence, grazie» disse l’uomo «ti sei meritata la tua mercede. Dimentica questa storia».
«Non la dimenticherò finché campo!» esclamò Lawrence, raccogliendo le monete che l’altro gli aveva fatto cadere in mano e allontanandosi verso il banco.

«Se non farai in fretta a dimenticarla non camperai a lungo» osservò tra sé l’uomo.
«Era lui?» chiese l’altro.
«Sì, credo proprio di sì».
«Ci aspettano tempi difficili. Ora che facciamo?».
L’uomo si alzò in piedi raccogliendo cappello e il mantello.
«Intanto andiamocene di qui: l’odore di questo luogo mi ha dato il voltastomaco».
«Non mangiamo?» chiese l’amico.
«Tu desineresti in un porcile? Solo i porci lo farebbero!».
«Se è un modo per darmi del maiale, grazie!» si schernì l’altro.
«Lascia perdere, non è sera di scherzare».
«Solo perché l’Inferno è venuto sulla terra?».
Un lampo di luce guizzò negli occhi del primo uomo, che una volta in piedi aveva assunto un aspetto fiero, da vero cavaliere qual era.
«L’Inferno sulla terra c’è sempre stato, ma non mi fa mai piacere incontrarlo» disse, ed uscì nella notte.
Fuori le nuvole giocavano a nascondere la luna, ma l’aria fresca schiarì subito la sua mente. Che fare? Quello che aveva sempre fatto: cercare, combattere, pregare, sopravvivere. Fino al giorno dopo, finché fosse stato possibile.
Un attimo dopo l’amico sbucò dalla locanda.
«In effetti avevi ragione, si sta molto meglio fuori» disse.
L’altro non rispose.
«Allora che facciamo? Andiamo a cercarlo?».
Il cavaliere alzò le spalle, e nel gesto la lunga spada spuntò dal mantello.
«Ha quasi due giorni di vantaggio, è inutile. Sarà lui a trovare noi. O meglio, saranno i suoi accoliti a farlo».
«Tu non sei mai stanco, Wolfgang?».
«Sempre, amico mio, ma devo riscattare un mio errore e non posso fermarmi».
«Un giorno me ne parlerai».
«Abbi fiducia in me e non chiedermi di farti del male. Seguimi nella notte, ma senza lasciare che la notte entri dentro di te».
Si voltò e cominciò ad incamminarsi verso l’altro lato della cittadina, dove avevano alloggio, poi si fermò.
«…Come è successo a me» concluse, con la voce che era solo un sussurro.