Più che difficile scrivere criticamente su un romanzo del 1932 che ha segnato un punto fermo nella storia della fantascienza distopica è impossibile. In effetti prima di leggere questo libro il mio riferimento sul genere era il 1984 di George Orwell, non tanto in termini cronologici, che prima di esso erano venuti i romanzi di Benson, di Zamjatin, dello stesso Jack London, ma perché il senso di allucinante estraneità di Orwell non l’avevo riscontrato negli altri lavori.

Il mondo nuovo ha tutte le caratteristiche per rappresentare l’estremizzazione di come sarebbe potuta diventare la società, e bisogna dire che Huxley ha saputo tratteggiarla con straordinaria lucidità, perché niente di quello che ha scritto si è poi rivelato, a novant’anni di distanza, irreale, tutt’al più ingenuo in certi tratti, perché lo scrittore britannico non poteva immaginare l’avvento dell’ingegneria genetica e di tutto quello che concerne il mondo come poi è stato disegnato dalla cibernetica, tuttavia scorrendo le pagine non ho avvertito il senso di gelo che come logica avrebbe dovuto essere la mia prima reazione.

Il merito è certamente della finezza della scrittura, del tutto moderna, ma anche della capacità dell’Autore di creare dei personaggi paradossali ma nello stesso tempo autentici, sia pure al di fuori della nostra realtà: Bernardo Marx, con la sua timidezza e le sue debolezze, il Selvaggio, disperatamente alla ricerca di una sua collocazione che non può trovare in un mondo a lui estraneo, gli stessi capi della Società, essi stessi prigionieri dei loro ruoli.

Eppure, nonostante questo, la situazione avrebbe dovuto farmi tremare le vene: un mondo totalmente controllato, dove gli individui non solo sono divisi in caste dalla nascita – extrauterina – ma addirittura sono creati con dei difetti, avvelenandone il sangue durante lo sviluppo in vitro dell’embrione al fine di avere una suddivisione di capacità e intelligenza riscontrabili anche fisicamente. Cosa ci potrebbe essere di più terrorizzante, profondamente ingiusto, di questo? Al confronto il nazismo con le sue politiche eugenetiche sarebbe dovuto sembrare un’esercitazione da scuola elementare!

Ma nel mondo nuovo tutti sono felici, tutti hanno il loro posto, e se sono estraniati rispetto ai nostri criteri nessuno ha da soffrire dei mali della nostra società, e parlo di quella “vera”.

Tutti nascono e vengono condizionati per occupare il loro posto nella società, nessuno ha da soffrire e addirittura non esistono malattie né invecchiamento, anche se il prezzo da pagare è un rapidissimo deterioramento sulla soglia dei sessant’anni, seguito da una morte indolore e vissuta serenamente da tutti, perché anche la paura dell’estremo momento è scomparsa, insieme con le istituzioni “morali”, le religioni, la cultura, le fobie, le sofferenze psicologiche. Ogni persona vive e lavora nel suo ambiente, contenta del suo stato perché condizionata ad esso, fa liberamente tutto il sesso che desidera e assume quotidianamente .con una droga, il soma, che non dà effetti collaterali ma consente di superare ogni possibile momento di crisi: Tutto orribile, spaventoso, ma allora perché il Selvaggio, un individuo “normale” cresciuto in una enclave lasciata allo stato brado, dove esistono Dio, il matrimonio, la morale, la famiglia patriarcale, non solo non riesce ad adattarsi alla nuova società una volta che ne viene a contato (e questo sarebbe ancora ragionevole) ma sprofonda in un baratro di parossismo pseudo religioso che gli impedisce di assaporare ogni forma di felicità fino a spingerlo al suicidio?

Forse il mondo nuovo non è così spaventoso come potrebbe apparire, forse i suoi lati positivi non sono poi così trascurabili rispetto a quelli negativi (quando piovono le bombe all’antrace, dice il Governatore Mondiale, è difficile preoccuparsi perché non si può leggere Shakespeare), forse siamo tutti disposti a rinunciare a un po’ della nostra libertà in cambio di pace, sicurezza e felicità generale, una vita composta unicamente di gioco, lavoro compreso. Ma “un po’ quanto”? In verità, nel momento in cui si decide di accettare di rinunciare alla propria libertà in cambio della felicità non si possono fare quantificazioni: un po’ equivale a tutta, è solo questione di tempi e di modi. Ma forse nel mondo nuovo già ci siamo, solo non ce ne siamo accorti e proprio come le rane nella pentola ormai siamo troppo cotti per pensare di saltarne fuori.