Attualmente nella mia biblioteca regna la confusione più totale. Pigrizia in primis e la vita coi suoi imprevisti hanno fatto sì che il caos prendesse il sopravvento “disorganizzando” i miei libri ed io non sono, al momento, capace di ritrovarne la gran parte. Non vi starò ad angustiare: sappiate solo che nella mia biblioteca, intesa come database sul PC, sono invece riuscito a mantener una parvenza d’ordine che mi salva dal naufragio totale.
Perché dunque questa premessa? Oltre che sperare di suscitare un qualche pizzico di curiosità, sto cercando di mettere le mani avanti in quanto intendo parlare di un libro che… non ho letto! Già, è così: vorrei leggerlo, ma non lo ritrovo, al momento.

Il che, temo, anziché chiarire gli eventuali dubbi di chi mi legge, ne ha creati altri, ne sono certo. Così non mi resta che andare per ordine, almeno nella spiegazione. Qualche anno fa, nel frequentare un piccolo corso di Scrittura Creativa, il nostro professore, ch’era ed è più un letterato che non un insegnante di scrittura creativa (semmai dovesse leggermi, e sebbene non ci sia nulla di denigratorio in quanto dico, spero vorrà perdonarmi), ci parla di Gesualdo Bufalino e del suo “Diceria dell’untore”.

Gesualdo, ti prego! Un successo non cercato

La storia di questo scrittore è incredibile. Siciliano (sembra essere un destino…) nato nel 1920, dopo aver pubblicato dei saggi subito dopo la guerra ed aver anche avuto un discreto successo, decide di dedicarsi all’insegnamento e sparisce dalle scene letterarie. Anche se continua a scrivere, ma tenendo tutto gelosamente nascosto in un cassetto, come giustamente vuole una certa tradizione retorica.
Tuttavia, gli capita di scrivere catalogo e commenti alle foto di una mostra fotografica su Comiso, sua città natale e dove vive ed insegna nel più completo anonimato. Caso vuole che un suo illustre e notissimo conterraneo, Leonardo Sciascia (di cui parleremo, prima o poi) legge tali commenti e fa notare la cosa ad Elvira Sellerio, che ha fondato col marito fotografo l’arcinota Editrice Sellerio, peraltro finanziatrice della mostra stessa ed editrice del catalogo.
Il fiuto dei due non sbaglia: si trovano davanti ad un personaggio letterario speciale. Una sorta di Cenerentola della scrittura, ch’è però felice di starsene da parte a rassettare l’anime degli studenti nella scuola e non sogna alcun principe azzurro, men che mai una zucca che divenga una carrozza per le arti magiche di chicchessia. Difatti nega decisamente di aver alcunché nel cassetto e già questo, da solo basta e avanza per fare di lui un personaggio speciale. È sufficiente pensare infatti a quanti “scrittori”, più o meno tali, darebbero l’anima e la madre pur di suscitare un pizzico di interesse in due eminenze del calibro di quei due. Figuriamoci per sentirsi addirittura “pregare” da loro!
Così è solo dopo lunghissime insistenze e “traccheggiamenti” che, nel 1981, Bufalino si decide a tirare fuori il suo Diceria dell’untore ed a mostrarlo ai due grandi sacerdoti dell’editoria.
Il successo è totale ed indiscusso. Si fa anche un film (che ho visto e che non è male) e Gesualdo si butta anima e corpo in una produzione forsennata. Quasi conoscesse il suo destino, s’affanna a recuperare una sorta di “tempo perduto” in cui dimostra tutta intera la sua grandezza di uomo di cultura e di profondo amore per l’arte in genere. Nonché del suo spirito acuto e penetrante, non a caso figlio della sua terra e, di
conseguenza, ironico, persino imbarazzante nella sua limpida visione della vita.
Muore in un incidente d’auto nel 1996, lasciando una enorme quantità di lavori ed un romanzo incompiuto sulla vita di Capablanca, leggendario maestro di scacchi, un gioco in cui, pare, lo stesso Bufalino eccellesse.
Al di là di questa incredibile, sconcertante ed affascinante favola ch’è stata la sua vita, torno al mio punto di partenza. In realtà, già nella mia biblioteca di allora, possedevo un libro suo, le Menzogne della notte, che avevo pure letto e che m’aveva colpito per la sua bellissima atmosfera onirica ma che, al contempo e non so perché, non aveva lasciato una traccia profonda nella mia vita di lettore. A posteriori, riesco solo ad ipotizzare una fragile motivazione: forse l’avevo letto un po’ troppo di corsa, come tante volte m’è capitato con le mie frenetiche letture.

Buttandomi a fare una letteratura “da due soldi” potrei ipotizzare che forse i miei tempi non erano“maturi” per quell’incontro. Ch’è frase ad alto effetto ma, in tutta sincerità, proprio non saprei dire cosa stia a significare.
Tornando nel mondo reale, quel tardo contatto con Bufalino, vissuto soprattutto con pagine sparse di lettura durante gli incontri di scrittura creativa, corroborati da brani e giudizi trovati via via su internet, m’han fatto innamorare di quest’uomo gentile e geniale, delle sue fascinanti parole, della sua gioiosa ed ironica visione della vita (per non parlare delle sue poesie). Così, subito dopo l’ovvio ed automatico acquisto della “Diceria”, m’è venuto spontaneo investire nel duplice volume Bompiani della sua opera omnia, quelli della collana Classici Bompiani.
Peccato che, come anticipavo, con mille (e nessuna) giustificazioni sia la Diceria che l’opera omnia non siano ancora state lette! E, al momento, risultino introvabili nel marasma dei miei scaffali. Di sicuro non sono finite nelle scatole disseminate in giro in vari depositi: il mio Alzheimer non è ancora a questi livelli… almeno spero!
Prima o poi troverò la forza ed il coraggio di risistemare quegli scaffali (si tratta anche di aggiornare adeguatamente il database) ed allora sono certo che ritroverò tutto. Come m’è già capitato di scrivere, la mancata lettura di una parte dei miei libri è, probabilmente, endemica. Spero vivamente che quando arriverà il momento di salutare la compagnia, ancora ci sia un bel numero di libri comprati e non letti. Ho detto anche – e mi ripeto – che la mia è una forma di esorcizzazione del futuro. Quel futuro che Gesualdo Bufalino ha visto bruscamente interrotto e che, almeno a livello di pubblicazione, era iniziato piuttosto tardi. Ma che lo stesso è stato generoso verso di noi, che facciamo parte di quella non certo nutrita, ma stupenda schiera dei lettori.
Almeno la Diceria, però, debbo leggerla… prima proprio non posso lasciare (!)…