Doveva accadere, prima o poi. Era inevitabile, visto che chiunque (persino io) di questi tempi tenta, fantastica e magari si illude di “pubblicare” qualcosa, che la Morte in persona si mettesse in testa di dire la sua.

Una Morte strana, remissiva, sovente affaticata, ma tutto sommato mite ed assai ben lontana dalla funerea immagine che di lei ci viene sempre servita. Una Morte piuttosto umana direi, persino candida. E immensamente poetica. Che prende dunque carta e penna e si mette a raccontare la vita di una bambina ch’era innamorata dei libri. A partire dal momento in cui si fa carico, per doveri professionali, del di lei fratellino più piccolo e non può fare a meno di notare che la piccola ha “rubato” un “manuale di sepoltura” sfuggito allo scavafosse. Così la segue via via nei suoi giorni, nel suo divenire prima figlia adottiva di un tranquillo e poetico muratore che ama suonare la fisarmonica e di una dispotica e risoluta megera che s’industria come può per mettere insieme il pranzo con la cena in una poverissima casa della Germania hitleriana e poi, strada facendo, “ladra di libri” nella biblioteca del sindaco del villaggio.

Via via la Morte si prenderà, in base alle disposizioni ed i piani che arrivano da chissà dove, tanti dei protagonisti della storia che racconta. Non senza, prima, averli in qualche modo studiati con occhio innamorato nelle pastoie di quel quotidiano che pure, lo senti in ogni parola, dentro in qualche modo le manca. Perché lei, la Morte, è al pari di dio per forza di cose eterna e, suo malgrado, in barba a stanchezza e nausea per quanto è costretta a fare, a modo suo invidia i mortali che prima o poi se ne vanno.

Di più – ed ho detto tantissimo – della trama di questo libro è meglio non dica. Per quanto non è che sia un giallo e ci sia l’obbligo di tenere col fiato sospeso il lettore senza non rivelare l’assassino. Qui gli assassini sono ampiamente noti e le quantità di cadaveri, come potete immaginare, immani. Per cui è fin troppo facile prevedere che chi prima, chi poi tutti moriranno. Un po’ come accade nella vita vera, no?

L’unica differenza è che qui, a raccontarcelo è lei, la Morte stessa, col suo senso di impotenza e, al tempo stesso la puntuale presenza laddove il dovere la chiama.

Sono andato alla ricerca su internet di notizie sull’autore, Markus Zusak. Non ho trovato molto. È un australiano nato nel 1975 ed aveva 30 anni quando è stato pubblicato il suo Storia di una ladra di libri. In Italia, in un certo senso, ha prima avuto successo il film tratto dal libro. Tanto che l’opera è stata nuovamente ripubblicata da noi, stavolta col titolo ch’è traduzione letterale di quello originale, mentre prima era stato pubblicato come “La bambina che salvava i libri”… almeno così par sostenere Wikipedia.

Grandissimo successo mondiale, in verità è il quinto libro di questo autore che ha vinto diversi premi. Anche chi sta scrivendo queste righe, ben prima di leggere il libro ha visto il film e questo l’ha stimolato a comprare poi il libro. Perché indubbiamente il film è bello e, tutto sommato, abbastanza riuscito nel voler “tradurre” in immagini la pagina stampata. Tra la visione del film e la lettura sono però passati almeno un paio d’anni e questo è stato in qualche modo “benefico”. Perché ben poco, al di là del senso di piacere, ricordavo, della storia e dei suoi risvolti. Questo, com’è ovvio, m’ha permesso di gustarmi appieno anche il fattore “sorpresa” che certe situazioni narrative comportano. Anche questa trovata dell’io narrante ch’è impersonato dalla Morte stessa – che non ricordo più se e come fosse realizzata nel film – è di impatto grandissimo. Nelle primissime pagine magari lascia un attimo perplessi, ma poi ci si affeziona alla umanità (pare insensato affermarlo, eppure così l’ho vissuta) di chi narra. Il tutto condito da una vena sottile, quasi invisibile, di ironia che addolcisce la crudezza dei fatti.

Geniale ad esempio la trovata dello sbiancamento delle pagine del Mein Kampf hitleriano fatto dai protagonisti per procurarsi, in tempi di povertà assoluta e di libri al rogo, le pagine bianche su cui scrivere altre storie e, al contempo, aiutare la protagonista ad imparare a leggere ed a scrivere. Non è solo sorprendente, ma profondamente morale e, al contempo, di uno struggente senso poetico, visto che tutti siamo a perfetta conoscenza di quanto male per l’intera umanità è disceso da quelle pagine.

quando giri l’ultima pagina, quasi ti fa sentire male ed abbandonato come accade sempre quando si fa un pezzo di strada in compagnia di un bel libro. Ma, al tempo stesso, ti senti ricco, come avessi ricevuto un magnifico dono.

Impossibile dunque non innamorarsi di tutti i bizzarri, semplici ed a modo loro ricchissimi personaggi che intervengono nella storia. Ed il fatto che prima o poi (inclusa la protagonista, seppure da molto anziana) debbano divenire di proprietà della narratrice non è né macabro, né fastidioso. Trasuda solo una incredibile melanconia poetica che, quando giri l’ultima pagina, quasi ti fa sentire male ed abbandonato come accade sempre quando si fa un pezzo di strada in compagnia di un bel libro. Ma, al tempo stesso, ti senti ricco, come avessi ricevuto un magnifico dono.

Ed arrivi ad ipotizzare che il mondo forse non è poi così scialbo e scassato come quotidianamente ti si propone: se c’è ancora qualcuno capace di scrivere pagine così poeticamente degne ed ammalianti, allora forse non è vero che tutto è perso, che stiamo scivolando nel baratro e che i nostri nipoti son destinati ad una realtà brutta, sporca e volgare. Poi magari ti ricordi di aver letto commenti assai meno lusinghieri e giudizi sinceramente incomprensibili su questo libro. D’accordo, è destino di qualsivoglia opera umana ricevere plauso e critiche. Nessuno sfugge a questa regola che da sola compendia la varietà delle umane genti.

Che dire? Basta pensare che c’è gente che vive in funzione dell’apparire, magari in modo che rasenta la rapina, in televisione o che trascorre le proprie giornate sfogliando pettegolezzi e sognando di potersi permettere un qualche intervento per tirarsi la pelle del viso e trasformarsi via via in clown ridicolo e plastificato. Dice il detto che “il mondo è bello perché vario”. O, se volete “chi si contenta gode”.

So solo che, dipenda dall’età o da quello che volete, leggere Ladra di libri m’ha dato una piccola speranza: forse il mondo che lascio alle mie nipoti non poi così nero e buio. Che dite: sono un buonista del c….?