Il fratello di mio padre, cioè mio zio, si chiamava Antonio. Ma tra i due non correva buon sangue, a causa di una grande incompatibilità di carattere che si manifestò fin da quando erano bambini e quasi coetanei, perché mio padre era più grande di zio Antonio di soli tre anni. Mio nonno Giuseppe e mia nonna Rita – che erano piuttosto benestanti perché erano a capo di una catena di negozi di elettrodomestici nel quartiere Chiaia, nel centro storico di Napoli – non sapevano come fare per mettere un po’ di pace fra loro. Se davano una carezza a mio padre Carmine la davano anche a zio Antonio. Se compravano un giocattolo a mio zio non dimenticavano di comprarlo anche a mio padre. Ma non ci fu nulla da fare.
Le differenze di carattere si accentuarono in età adulta. Mio padre era un uomo religioso, fedele a mia madre e un po’ introverso. Zio Antonio, invece, era ateo, traditore e molto estroverso. Un vero scugnizzo napoletano.
Dopo la scuola, dove mio padre primeggiava mentre zio Antonio era perennemente bocciato venne l’ora di separarsi.
Mio padre, tramite un amico trovò un posto di rappresentante di libri scolastici ed enciclopedie a Roma e vi si trasferì. Zio Antonio, invece, rimase a Napoli e si mise a lavorare come cameriere in un grande ristorante sul mare a Posillipo. Era talmente bravo che nel giro di qualche anno ne divenne il direttore, guadagnando un mucchio di soldi. Mio padre, invece, con i libri stentava ad arrivare a fine mese e invidiava la ricchezza del fratello. Zio Antonio, grazie al suo benessere, comprò una casa al Vomero, l’elegante zona residenziale posta sulla collina di Napoli e poco dopo conobbe Giuseppina, una ragazza dolce e mite che lavorava come cameriera nel suo ristorante. Lui la corteggiò assiduamente e alla fine si fidanzarono. E presto la sposò. Così zia Giuseppina non fece più la cameriera. L’unica nota dolente era che non poteva avere figli. Ma a zio Antonio non importava perché così poteva essere libero di fare il farfallone con altre donne, mentre zia Giuseppina non faceva altro che sopportare i tanti tradimenti del marito. Mio padre, invece, poté permettersi solo un appartamento in via Tuscolana e girando per le case a causa del suo lavoro di rappresentante conobbe mia madre Laura, molto bella ed esuberante, che era una sua cliente.
Frequentò assiduamente la sua casa e tra loro nacque una simpatia, così si fidanzarono e si sposarono.
E dopo qualche anno di matrimonio nacqui io che mi chiamo Rossella.
Nonostante i conflitti mio padre e zio Antonio si frequentavano, anche perché erano rimasti soli, dal momento che i nonni morirono improvvisamente a causa di un incidente stradale.
Spesso andavamo a trascorrere le vacanze a Napoli e quando ero bambina mio zio mi accompagnava alle giostre di Edenlandia, il grande parco napoletano dei divertimenti. Io adoravo il trenino, i colorati cavalli e gli elefantini Jambo.
Quando divenni più grande mi accompagnò a vedere i vari quartieri di Napoli. L’elegante quartiere Chiaia dove avevano avuto i negozi i miei nonni. Un quartiere alla moda, con le vie dello shopping e tanti locali. Poi naturalmente mi portò a vedere il suo ristorante a Posillipo e io rimasi incantata a guardare il mare e le tante bellezze naturali. Poi, vidi il rione Sanità, una zona popolare e folkloristica. E i Campi Flegrei con i suoi vulcani e crateri. Infine mi fece vedere i palazzi storici di Napoli come Castel dell’Ovo, il Maschio Angioino, il Palazzo Reale e le numerose chiese di Napoli, conosciuta anche come la città delle 500 cupole. Adoravo quella città. Anche zio Antonio con zia Giuseppina venivano a Roma e lui apprezzava le bellezze della Capitale.
Ma un giorno accadde un fatto che accentuò i conflitti tra mio padre e zio Antonio. Quest’ultimo mentre mia madre era sulla scala ad agganciare le tende alla finestra si mise a guardare e ad accarezzare le gambe di mia madre.
Mio padre lo sorprese e finirono a cazzotti. Così zio Antonio partì subito per Napoli e per un bel po’ non lo vedemmo più. Io ogni tanto lo chiamavo al telefono perché comunque, nonostante tutto, ero molto legata a lui, ma poi fui distratta dai tanti problemi economici che c’erano in famiglia. Passavo da un lavoro di babysitter all’altro per cercare di aiutare la famiglia. Ma non ci fu nulla da fare. Un giorno, difatti, mio padre tornò a casa in lacrime perché la casa editrice per cui lavorava era andata in fallimento e lui aveva perso il lavoro.
I mesi seguenti furono un incubo perché mio padre non trovava un altro lavoro e l’amico che l’aveva già aiutato in passato disse che non poteva fare più nulla per lui. E mio padre non aveva più conoscenze. Così una sera sentii mia madre dire:
“Carmine, metti da parte il rancore e chiama tuo fratello. Solo lui può aiutarci.”
Mio padre abbassò la testa e disse:
“Sì, lo farò.”
In giornata chiamò zio Antonio e gli spiegò quello che era successo. Mio zio disse:
“Venite subito a Napoli. Ti aiuto io con il lavoro.”
Mio padre non se lo fece ripetere due volte. Ci apprestammo a preparare le valige e il giorno dopo partimmo per Napoli. Quando giungemmo alla casa di mio zio lui accolse mio padre mettendo una mano sulla sua spalla e dicendo a noi tutti:
“Benvenuti al Sud! Questa terra vi rimetterà al mondo!”
E così fu.
Nei giorni seguenti mio padre affiancò mio zio nella direzione del ristorante e fu assunto a tempo pieno. I rapporti fra di loro migliorarono molto e mio zio non molestò più mia madre. Nel giro di qualche tempo, anche grazie alla vendita della casa di Roma, potemmo acquistare una casa proprio vicino al ristorante. E così mio padre faceva casa e bottega. Ma un giorno accadde l’irreparabile.
Mio zio mentre era al computer accusò un forte dolore al petto. Mio padre chiamò subito l’ospedale di zona Fatebenefratelli e in breve un’ambulanza trasportò mio zio a destinazione. Quando arrivammo lui era già in rianimazione ma quando, poco dopo, uscì il medico che lo aveva soccorso, ci disse che non si era potuto fare niente per salvarlo. Era morto d’infarto.
Mio padre scoppiò in lacrime come zia Giuseppina, mia madre e la sottoscritta. I mesi seguenti furono duri e sofferti. Poi, con il tempo, superammo il dolore.
Adesso sono passati diversi anni da quel tragico episodio. Attualmente mio padre dirige interamente il ristorante affiancato da zia Giuseppina che dopo la morte del marito ha avuto la necessità di mettersi a lavorare. Anche io mi occupo del ristorante dove, per il momento, faccio la cameriera.
Quando siamo liberi dal lavoro ci godiamo la città di Napoli che ci ha dato da vivere. Godiamo del suo sole, del suo mare e ricordiamo sempre quando lo zio Antonio ci accolse dicendo:
“Benvenuti al Sud.”
Per noi è stato così anche se è venuto a mancare lo zio.