Se dovessi pensare che è successo tutto per una banconota da venti dollari dovrei mettermi a ridere per quanto la vita – e la morte – sono assurde, ma non è stato così.

Tutto è successo perché sono negro, non black, non afro, no, negro, negroes, perché il razzismo qui non è mai finito. Certo, ci sono diverse razze di neri, i neri ricchi e quelli poveri, così come ci sono diverse razze di bianchi, quelli ricchi e quelli poveri, appunto, e allora i bianchi poveri, quelli che non hanno avuto successo nella vita, i bianchi che non hanno realizzato l’assurdità dell’american dream e guardano con ansia al loro futuro ci odiano ancora di più. Perché almeno hanno qualcuno da disprezzare, qualcuno che è ancora più in fondo di loro in questa fogna.

Negroes.

Ma in fondo, cosa me ne frega adesso di tutto questo?
Adesso che vedo le folle in tutto il Paese sollevarsi e urlare la loro rabbia contro questa società di merda, che vedo giovani in tutto il mondo scendere in piazza in segno di solidarietà, adesso vorrei solo piangere e ridere. Ridere perché domani tutto tornerà come prima e i disperati in questa finta terra dell’abbondanza non saranno meno disperati, forse soltanto un po’ più soli, e piangere perché è così mutevole l’onda della commozione che chi ora si indigna per una persona assassinata da poliziotti incapaci e violenti che ha già dimenticato le migliaia, i milioni di persone massacrate senza sosta in Africa, in Asia, in America in nome di violenze e guerre originate sempre e soltanto dal denaro.

Perché tutto comincia e finisce dai soldi, da questo feticcio che abbiamo innalzato a nostro Dio, e ora penso che davvero aveva ragione il violento dio degli Ebrei quando si era adirato perché i suoi seguaci avevano innalzato un vitello d’oro. È quello che anche noi abbiamo, quello che gli uomini hanno fatto da sempre, e da sempre sono esistiti ricchi e poveri, padroni e schiavi, WASP e Negroes.

Mi sono ancora fatto trascinare dalla retorica e dall’amarezza, e non dovrei farlo visto che da qui dove sono ogni cosa si vede con più chiarezza, come se mi fosse stato tolto dagli occhi il velo della mia individualità.

Adesso dovrei essere in pace, niente dovrebbe più inquietarmi, farmi paura.

Ma allora perché continuo a sentirmi mancare il fiato e a ripetermi sempre quella stessa frase: «Per favore, amico, lasciami respirare»?