Un signore in tutto e per tutto

Già dal titolo, chi mi legge avrà capito di chi è lo scaffale verso il quale mi sto ora orientando.
Un film delizioso, una interpretazione magistrale di Philippe Noiret, un libro difficile e delicato, un uomo particolare, uno scrittore a tutto tondo, di grande cultura ed umanità: un signore, in tutto e per tutto. Appartiene ad una generazione magica della letteratura italiana, probabilmente irripetibile. Nata sotto il fascismo, sovente vittima di discriminazioni culturali se non d’altra natura, ha aperto la strada ad uno dei periodi più ricchi della nostra letteratura moderna. Che poi s’è persa purtroppo, ma questa è un’altra questione ed io sono troppo vecchio per esprimere giudizi competenti su questioni del genere. Ho le mie opinioni, come chiunque, ma i giudizi qualificati verranno poi, compito di altre generazioni, meglio “attrezzate” e più al passo coi tempi.
Volevo dunque dedicare a Giorgio Bassani uno scaffale della mia biblioteca del nonno. Così, come faccio sempre per evitare di dire qualche grossa castronerie, sono andato a cercare notizie in Internet: mi aiuta, in ogni caso, a mettere un po’ d’ordine in ricordi che inevitabilmente, col passare del tempo divengono più confusi.

Un testimone attento e delicato a confronto con le discriminazioni dell’Italia fascista

Per questo mi sono imbattuto in un articolo di Gianni Clerici. Per chi non lo conoscesse Gianni è stato (oggi è in pensione) un cronista sportivo un po’ speciale. Giocatore di tennis di buon livello (“classificato”, si diceva un tempo, oggi non so) in gioventù, di famiglia ricca – per sua stessa dichiarazione – quanto bastava perché potesse dedicarsi nella vita alle sue passioni e trasformarle in un lavoro senza l’angoscia del pane quotidiano, ha speso la sua vita a commentare il tennis in televisione e a scrivere qualche libro, in genere sulla storia del tennis. Personalità un po’ snob e vagamente “radical-chic”, colta e creativa, mi sembra, al di là di specifiche competenze, una persona per molti versi simile a Bassani stesso. Lo cito perché, almeno secondo un’intervista da lui rilasciata, dello scrittore bolognese di nascita ma ferrarese di “maturazione”, è stato amico e, in qualche modo ha potuto seguirne la vita sino alla sua malattia ultima che, come purtroppo capita sovente, in vecchiaia ha completamente perso la memoria.
L’intervista è molto toccante ed anche intensa: Clerici a mio avviso è uno scrittore ampiamente sotto-valutato, ma questa è un’altra storia e ci porta lontano. Il fatto è che, partendo dalla comune passione per il tennis, riesce a tratteggiare benissimo la ricchezza umana e culturale di un uomo che ha viaggiato nella cultura italiana dando un grandissimo contributo alla letteratura sia col suo lavoro editoriale che con quello di scrittore.
A lui dobbiamo soprattutto la serie delle storie ferraresi, ambientate durante il fascismo e che riecheggiano con grandissima emozione tanto la vita di quei periodi che, inevitabilmente, le durezze di un regime spietato che ha collaborato al tentativo di estinguere tutta una parte della popolazione europea. Tema centrale dei suoi lavori è senza dubbio la “discriminazione”, sia sessuale che razziale. Due aspetti che ritroviamo entrambi, più o meno evidenti, in quasi tutte le sue storie. D’altra parte la sua famiglia era di origini ebree e ci furono senza dubbio aspetti ambigui e controversi nel fatto che alla resa dei conti lui ed i suoi riuscissero a salvarsi dalla shoa.
Lo stesso Bassani, in una conferenza sull’antifascismo da lui tenuta al Teatro Comunale di Bologna nel ’61, alla vigilia della pubblicazione del Giardino dei Finzi-Contini, ebbe a dire: «Io uscivo da una famiglia perfettamente allineata ai tempi. Mio padre, lui, aveva preso la tessera del fascio addirittura nel ’20. Uscivo da una famiglia di questo tipo: ebraica e fascista. Eravamo dei piccoli borghesi, caratterizzati, anche noi, dagli stessi difetti, dalle stesse colpe, dalle stesse insufficienze della contemporanea piccola borghesia moderata cattolica. Sembrerà strano: eppure erano pochissimi, prima del ’38, gli ebrei italiani che non fossero devoti di Casa Savoia, mentre il duce, che aveva conquistato l’impero, rappresentava per molte delle nostre madri, zie e sorelle una specie di idolo. Dopo il 1938, dopo le famigerate leggi razziali, “quasi” tutti capirono, naturalmente. Ma prima di questa data fatidica, ripeto, fra gli ebrei italiani dominava il conformismo più totale». (da Il giovane Bassani in lotta tra fascismo e antifascismo, di Lorenzo Catania, La nuova Ferrara, 10 marzo 2016)

Inutile aggiungere che la sua “estrema” sensibilità alle problematiche omosessuali ha dato adito a mille ipotesi su quanto ci fosse di personale e di vissuto nelle storie narrate.
Al di là di questi punti interrogativi che lascio, soprattutto quello relativo alle “preferenze” sessuali del nostro autore, a chi ha voglia e tempo di perdersi appresso ai “distinguo morali” ed eventualmente al gossip tanto in voga di questi tempi, resta a mio avviso indiscutibile l’estrema sensibilità, delicatezza e raffinatezza con cui Bassani affronta e sviluppa questi argomenti nei suoi lavori. Può anche darsi che, specie per la questione “fascismo”, lo scrittore abbia anche commesso i suoi errori: non sapremo mai se e quanto fu questione di “sopravvivenza” (riuscita peraltro) o di meno nobile opportunismo. Di ambedue, con ogni probabilità, ma è la classica cosa che per giudicarla bisognerebbe esserci stati dentro…
Quanto alla possibile omosessualità, è evidente che il problema, ammesso che tale sia, è questione squisitamente personale su cui nemmeno mi sfiora l’idea di emettere un qualsivoglia commento. È una realtà il fatto che fosse già argomento difficile e scottante ai tempi in cui Bassani produsse le sue opera narrative, figuriamoci prima, quand’era giovane e viveva nel mondo e nella cultura fascista. Ed ancor oggi, nonostante tutto, è ben lungi dall’essere compreso ed accettato in questa ridicola società che si vanta d’essere evoluta.
Il fatto importante, almeno per questo vecchio lettore, è che i romanzi di Bassani sono di una bellezza e di una umanità profondissime. E, in un certo senso, proprio perché ne Gli occhiali d’oro, Bassani mette assieme questi cardini della sua vita, ebraismo ed omosessualità, che m’è venuto spontaneo citarlo come simbolo del mio affetto per lui.
Un simbolo che sta a rappresentare la complessità dell’animo umano, la crudeltà del nostro essere pretestuosamente “civili” verso chi, a torto o a ragione non importa, viene considerato “diverso”, la mostruosità delle discriminazioni, la ricchezza dei sentimenti, l’importanza di farsi testimoni, tramite la narrazione dei drammi e delle ingiustizie, così come delle incredibili bellezze cui l’essere umano riesce talvolta (sempre più rara) a farsi interprete.
Questa e nessun’altra dovrebbe essere la missione di chi racconta storie. Questo e non altro sono quelli come Giorgio Bassani. Che per fortuna nostra, come abbiamo visto e vedremo ancora, non è da solo.