GEORGE HARRISON: LIVING IN THE MATERIAL WORLD, DI MARTIN SCORSESE  In George Harrison si sono incarnate molte vite: prima c’è stato lo scouser, il ragazzo di Liverpool amante della birra e della chitarra; poi la star dei Beatles, gruppo pop diventato nel tempo qualcosa di epocale, fino ai capovalori di Sgt. Pepper e White Album; quindi il cantautore, ispirato ai suoni e le filosofie dell’India, a una nuova spiritualità con cui trasfigurare il mondo, per renderlo migliore; e ancora il filantropo, il donnaiolo, il miliardario, il traditore, il marito amorevole e l’amico fedele.

Un mosaico complesso, stupefacente, quasi infinito, dove si riflettono le suggestioni dell’epoca e mille colori, venati d’Oriente; un diamante puro e dalle molte facce, capace di frangere la luce in uno spettro. Scorsese ha realizzato un documentario che in realtà è un film; a guardarlo non si ha l’impressione di vedere la realtà, ma una fantasia, una magica storia creata da uno sceneggiatore. Eppure è successo davvero.

George e’ sopravvissuto all’attacco di un pazzo, non al destino di ogni uomo: quello di diventare un ricordo nella mente di altri uomini. Così, un giorno, in un’isola sperduta, ha annunciato alla moglie che se ne sarebbe andato, per farsi leggenda. As spirits, in a material world, cantava Sting; come spiriti in un mondo di tenebra. Ma accanto a questo c’è un altro mondo, fatto di anime; ed e’ qui che risuonano le sue canzoni, forse per sempre. Questo è concesso solo ai puri.