Cosa è il flashback? Tutti ne abbiamo sentito parlare e ne parliamo continuamente, se non altro perché il termine è entrato nel linguaggio corrente, ma cosa significa esattamente in narrativa e, soprattutto, quando usarlo?

Partiamo dall’inizio: quando scriviamo un racconto o un romanzo avremo inevitabilmente un insieme di eventi che si susseguono in ordine logico-cronologico. Tale insieme è stato definito dai formalisti russi (Validimir Propp ne è stato uno dei primi esponenti) fabula ed è diverso dall’intreccio, che è il modo in cui gli eventi di cui sopra sono stati disposti all’interno della narrazione.

In altre parole, la fabula è la successione cronologica di come si sono svolti i fatti, l’intreccio è come effettivamente li raccontiamo nella nostra storia.

Fabula e intreccio spesso vengono confusi nel termine generico trama, che è ambiguo, rappresentando a volte l’una e a volte l’altra modalità di narrazione.

Il fatto è che l’opera narrativa è doppiamente temporale, in quanto contiene il tempo della storia o Erzähltezeit o tempo narrato (che corrisponde alla fabula) e il tempo del racconto o Erzählzeit o tempo narrante (che corrisponde all’intreccio). Il primo indica la durata cronologica degli eventi, il secondo il tempo necessario all’atto di raccontare.

Il problema si verifica quando fabula e intreccio non coincidono, il che accade piuttosto spesso: in tale caso vengono alla luce delle anacronie, secondo la definizione di Gérard Genette, uno strutturalista francese che è stato uno dei principali esponenti della narratologia.

Le anacronie sono solitamente di due tipi:

  • la prolessi  (flashforward), per cui il racconto anticipa un fatto che nella storia avviene dopo (è una sorta di “impazienza” narrativa da parte del narratore);
  • l’analessi (flashback), per cui il racconto posticipa un fatto che nella storia è avvenuto prima (è un modo per riparare ad una “dimenticanza” narrativa).

L’anacronia (prolessi e analessi) può essere esterna quando supera i confini del racconto, interna quando rimane nei confini del racconto, mista quando riporta eventi che si intrecciano parzialmente con uno dei due confini del racconto (inizio o fine). Può inoltre essere eterodiegetica quando si basa su una linea narrativa diversa dal racconto principale oppure omodiegetica quando completa una lacuna anteriore del racconto o se colma anticipatamente una lacuna ulteriore del racconto.

“Un’anacronia, nel passato o nell’avvenire, può andare più o meno lontano dal “momento presente”, cioè dal momento della storia in cui il racconto si è interrotto per farle posto: chiameremo portata dell’anacronia questa distanza temporale. A sua volta, essa può coprire una durata di storia più o meno lunga: è ciò che chiameremo la sua ampiezza” (Genette Figures III – 1976).

Senza addentrarci ulteriormente nella classificazione, è evidente che entrambi le anacronie (che d’ora in avanti chiameremo semplicemente flashback e flashforward) sono figure retoriche che vengono utilizzate in narrativa e in cinematografia per variare il ritmo della narrazione e rendere più ricca e coinvolgente una storia o per colmare lacune espositive. E proprio qui sta il problema, perché, come dice Robert McKee: “Il flashback è semplicemente un’altra forma di esposizione. Come ogni altra cosa, lo si può realizzare bene o male. In altri termini invece di annoiare il pubblico con lunghi brani di dialogo immotivato e pieno di esposizione potremmo annoiarlo anche con dei flashback monotoni, non necessari, e pieni di fatti”.

Però, niente paura, McKee dice anche: “Oppure potremmo utilizzarlo bene. Un flashback può operare miracoli se seguiamo gli ottimi principi dell’esposizione convenzionale”.

In realtà il flashback è utile perché consente allo scrittore di muoversi con più libertà sulla linea del tempo, rompendo la monotonia data dalla linearità. Un romanzo vive di intrecci, di verità svelate poco per volta. Ci sono altri metodi per farlo, ma poter giocare anche con il tempo è di sicuro un’arma molto utile.

Il flashback ha la caratteristica di rompere il tempo della narrazione e questo, se inserito al momento giusto, può rendere tutto più intrigante, nel punto sbagliato può invece rallentare eccessivamente il ritmo. Ovviamente il flashback deve avere un valido motivo per venire usato e deve essere inserito nel momento esatto nella collocazione temporale e causale delle vicende.
Se lo si usa per chiarire qualche aspetto può risultare illuminante, oppure troppo didascalico, noioso perché non così essenziale e chi legge preferisce sapere quel che succederà nella storia principale.

Quindi, regola base, prima di tutto, drammatizzare i flashback. Invece di fare dei flashback su scene piatte del passato inserite nella storia un minidramma che abbia un incidente scatenante, delle progressioni e un proprio punto di svolta.
Inoltre, non inserire un flashback finché non si è creato nel lettore il bisogno e il desiderio di sapere.

È vero, noi non stiamo scrivendo per il cinema, quindi possiamo indulgere al lusso delle libere associazioni. Lo scrittore di prosa può, se lo desidera, far camminare un personaggio davanti a una vetrina, fargliela guardare e ricordare tutta la propria infanzia. “Quel pomeriggio camminava per le strade della sua città natale quando, gettando uno sguardo sul negozio del barbiere, si ricordò dei giorni in cui il padre era solito portarlo lì da ragazzino e lui stava seduto fra gli adulti che fumavano sigari e parlavano di baseball. Fu lì che udì per la prima volta la parola ‘sesso’, e da allora non è più riuscito a far l’amore con una donna senza il pensiero che stava facendo un punto a baseball”.

Possiamo, ma questa scena vi sembra ben costruita. o non riecheggia piuttosto uno dei tanti cliché?

Tecnicamente ci sono diversi modi per inserire il flashback nella narrazione. È importante dare subito un’indicazione che chiarisca il tempo d,egli eventi, perché è irritante accorgersi solo a metà flashback che ci si trova nel passato. Si può inserire uno stacco visivo, una riga bianca, un nuovo paragrafo, per evitare che il lettore perda il filo. Si può usare una descrizione fisica del personaggio che identifica un tempo diverso, o una ambientale, elementi che caratterizzino la differenza di tempo (un completo in tre pezzi per far capire che il barbone di cui stiamo narrando si trova in quella scena vent’anni prima quando era un agente a Wall Street, una macchina da scrivere in un ufficio, un personaggio ormai morto…). Oppure introdurre il flashback con una frase che lo colloca deliberatamente nel tempo “Jack l’avevo conosciuto al college…”.

È possibile usare anche il corsivo per l’intero flashback, ma è poco comune e non è consigliato perché si rischia di fare confusione con i pensieri, perché spezza troppo e non è facile da leggere. E anche titoli con indicazione di tempo e luogo, che però si prestano meglio per romanzi d’azione.

Ci sono infine autori che se stanno scrivendo al passato la storia principale utilizzano per il flashback il presente, un po’ come si fa con i pensieri, ma si tratta di uno stile personale.

Esistono delle regole, abbastanza ovvie, riguardanti l’uso dei tempi nei flashback:

  • Poiché il flashback fondamentalmente è un pezzo di trama relativamente breve dedicato alla narrazione di ciò che è avvenuto in un tempo precedente a quello della storia, una volta che è terminato il narratore torna al tempo o normale e riprende da dove aveva lasciato.
  • Il narratore che scrive il flashback usa la stessa forma del resto del romanzo, quindi se il romanzo è scritto al presente anche il flashback deve essere al presente, altrimenti sarebbe solamente un ricordo raccontato direttamente da un personaggio. A dire il vero se stiamo scrivendo al passato remoto il flashback andrebbe al trapassato prossimo, ma a lungo andare tutti quegli ausiliari all’imperfetto appesantirebbero la narrazione. Inoltre se nel flashback avessimo la necessità di narrare azioni passate rispetto al momento del flashback con il trapassato sarebbe difficile essere chiari.
  • Una soluzione accettata è quella di volgere la frase al passato remoto dopo un’introduzione al trapassato, per poi concludere il flashback tornando di nuovo al trapassato. È anche utile, se la narrazione continua, usare una frase al passato remoto, questa volta, che “riporti” lettore e personaggio nel tempo della storia oppure interrompere il paragrafo al trapassato e cominciarne uno nuovo. Ma ci sono flashback che non vengono introdotti da una frase al trapassato. Ci può essere uno stacco visivo e poi la narrazione sempre al tempo della storia. È importante, come abbiamo già visto, che in questo caso che il lettore capisca da altri elementi che si trova davanti a un flashback.

Il flashback è uguale a ogni altra parte di libro, quindi è raccontato dal narratore e non dai personaggi; è narrato con lo stesso tempo del resto della storia per cui, in linea di massima, un lettore aprendo un libro che non ha mai letto a metà del flashback non dovrebbe capire che si tratta di avvenimenti antecedenti all’arco temporale dell’intreccio.

Per iil flashforward  valgono le stesse regole dei flashback solo che, a differenza di quest’ultimi, sono solitamente utilizzati per creare suspense, anticipando avvenimenti che devono ancora accadere. Come i flashback, possono essere utilizzati per dare movimento alla storia, per conferire alla struttura dell’opera un ritmo più incalzante, un intreccio più dinamico.

E a proposito di cliché, la sequenza di un sogno, il caso più comune di flashforward, è esposizione vestita a festa. Quanto detto sopra vale doppiamente nel caso di quei tentativi, generalmente fievoli, di travestire le informazioni ricorrendo a cliché freudiani.