«Ci sono due cose che non capisco» dico al mio accompagnatore, guardandomi intorno.

La macchina percorre la strada statale 113, che in quel punto si addentra nell’interno a qualche centinaio di metri dal mare, passando tra muretti a secco e moderne case a due piani, sempre esposta ad un sole caldissimo, implacabile.
Gerolamo Esposito guida in silenzio, gli occhi fissi sulla strada davanti a lui.
«La prima» proseguo «è cosa ho fatto di male per essere sbattuto qui, nel buco del culo del mondo. E la seconda è come facciano a campare in mezzo al niente. Cassa del Mezzogiorno?».
Esposito si volta un attimo verso di me, poi ritorna a guardare la strada. Cerco di vedere se si è offeso, ma non notto nessun tremolio nella sua espressione da statua di sale.
«Anzi, tre: perché mi hanno affibbiato proprio te, cosa avevano al Ministero? Paura che mi perdessi?».
«Siamo arrivati, ispettu’ri».
La macchina è ferma davanti al piccolo municipio di Canneto di Caronia. Apro la portiera e scendo, spiando Esposito per vedere se si è lasciato sfuggire un sorriso, dopo il suo sfoggio dialettale, ma niente, neanche un incresparsi delle folte sopracciglia o una vibrazione delle sue lunghe basette anni sessanta. Non giocherei a poker con lui, penso, ma d’altronde non gioco mai a poker.

Dentro ci sono ad aspettarmi il sindaco di Caronia e il comandante della locale stazione dei Carabinieri. Tutto le volte che uno si domanda perché i carabinieri siano il potere occulto in questa nazione dovrebbe vedere fin dove arriva la loro organizzazione, mi dico.
Il sindaco è un ometto anziano, con radi baffetti e un evidente riporto tinto sul cranio, e sorride increspando appena le labbra. Il maresciallo del carabinieri, invece, è un omone decisamente sovrappeso, dalla pelle troppo chiara per essere siciliano. Sempre così, nei carabinieri: i siciliani in Veneto e i veneti in Sicilia.
«Buongiorno Ispettore Valenti» mi dice il sindaco, porgendomi la mano, «sono felice che il Ministero finalmente abbia accolto le nostre richieste».
Gliela stringo, poi faccio altrettanto con il maresciallo.
«Questo è il sovraintendente Esposito» dico, presentando il mio accompagno «mi aiuterà nell’inchiesta».
Nessuno di noi è in divisa, ma il solo citare il grado di Esposito fa fare una leggera smorfia al carabiniere. Poliziotti. Concorrenza.
«In realtà facciamo parte del Servizio Ispettivo del Ministero dell’Interno» dico, calcando le iniziali «siamo colleghi».
Tutti assumono un atteggiamento che vorrebbe essere composto ma tradisce un certo imbarazzo.
Eposito mi tocca il braccio.
«Cosa c’è?» chiedo.
«Scusi signor ispettore, ma avrei bisogno del bagno…. Deve essere stato qualcosa che ho mangiato…» si scusa.
«Te l’avevo detto di evitare l’impepata di cozze!». Mi guardo intorno.
«Lasci che il mio segretario l’accompagni» dice il sindaco, che ha sentito tutto. Il carabiniere trattiene a stento un sorriso mentre Esposito si affretta a seguire il segretario fuori dalla sala.

«Cosa diamine è successo?» faccio, appena lasciata la stanza dove l’ispettore Valenti sta parlando con sindaco e maresciallo dei carabinieri.
Salvetti, questo il cognome del segretario, allarga le braccia sconsolato.
«Non so come sia potuto accadere, è stato il piccolo Fernando».
«Quello affidato agli Spatuzzo?».
«Sì, è scappato e ha seminato il caos».
Fatico a reprimere la rabbia, ma avevo immaginato che fosse andata così.
«Maledizione! Facciamo di tutto per passare inosservati, siamo venuti nel posto più sperduto d’Europa, dove non dovrebbe succedere mai niente, abbiamo dovuto abbandonare la costa sud dell’isola perché hanno cominciato a sbarcare gli africani e non volevamo che qualche troupe dei media ficcasse il naso, passiamo gran parte del nostro tempo a nasconderci e poi ci mettiamo noi a richiamare l’attenzione del mondo!».
Salvetti mi fa cenno di calmarmi.
«Adesso non esagerare, è tutto sotto controllo».
«Come sarebbe a dire sotto controllo? Non hai visto i titoli dei giornali? Tra poco qui arriveranno i cacciatori di UFO».
«Ti dico che è sotto controllo. E poi, non siete venuti qui per mettere tutto a tacere?».
Guardo se fa sul serio o scherza. Scherza, ha anche lui la brutta abitudine di non prendere niente sul serio.
«Ci sono tanti testimoni?» chiedo.
«Certo che ce n’erano, Fernando ha dato fuoco a mezza città, non potevamo nascondere i fatti».
«E allora?».
«Ricordi quel film di Sherlock Holmes? “Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”».
«E quale sarebbe l’impossibile?».
Ammicca: «Be’, gli extraterrestri non esistono, lo sanno tutti…».
«Attento…».
Si fa serio:
«Abbiamo lavorato con i capi mandamento di qui. Non si potevano mettere a tacere tutti i testimoni, così abbiamo montato una storia alternativa».
«Che storia?» chiedo, incuriosito.
«Una storia improbabile: alcuni picciotti hanno pensato bene di provocare dei piccoli incendi per attirare l’attenzione dei giornali su questa località e favorire il turismo».
Sono ammirato.
«Non voglio sapere cosa hanno avuto in cambio» dico.
Lui alza le spalle: «Una mano lava l’altra, non è un problema».
«Va bene, allora lasciamo che il nostro bravo ispettore faccia le sue verifiche».
Lui mi fa un cenno di assenso e insieme rientriamo nella sala.

«Tutto a posto, Esposito?».
«Sì, grazie, ispettore» mi dice.
«Ti vedo pallido».
«Un malessere passeggero».
Lo guardo un attimo con attenzione.
«Bene» faccio poi «il maresciallo mi stava spiegando che le loro indagini si stanno concentrando su un gruppo di ragazzotti che pare abbiano messo in piedi tutto».
«Uno scherzo?» fa Esposito, mostrandosi stupito.
«Non abbiamo ancora tratto le conclusioni» interviene il carabiniere «molte volte quelli che sembrano scherzi in realtà nascondono manovre di qualche tipo».
Esposito assente con aria svagata, non deve stare ancora bene.
«Signori» dice il sindaco, questa volta con un ampio sorriso «si è fatto tardi: che ne dite di continuare la discussione a tavola? Ho prenotato un tavolo ad un ristorante qui vicino, Lo Scoglio, fanno una frittura che…» fa una pausa, un po’ incerto, lanciando un’occhiata a Esposito.
«Sto benissimo» lo rassicura il mio vice.
«Andiamo allora? O preferite andarvi a rinfrescare in albergo?».
«Abbiamo lasciato le valigie a Sant’Agata» dico «siamo a posto così».
L’ometto ci precede quasi saltellando, io, Esposito e il maresciallo lo seguiamo, e il segretario chiude il gruppo.
Bene, penso, vediamo a cosa approderanno le indagini dei carabinieri, ma che sia uno scherzo o qualche macchinazione i responsabili li hanno presi, quindi domani possiamo chiudere l’indagine e farci qualche giorno di mare a Cefalù prima di fare relazione al Ministero.
Guardo Esposito: sempre che lui ce la faccia, penso.Ma possibile che sempre a me debbano appioppare ‘ste cozze?