Quello che era successo in seguito lo seppi da Agnese in persona, mia nonna, che mi ha ispirato alcune parti di questa triste storia. Attraverso i suoi occhi ebbi modo di conoscere mio nonno Augusto e mio zio Mario.

Anna, invece, l’ho conosciuta molto da vicino, per conto mio, visto che di mia madre si tratta. Lasciò tutti con il fiato sospeso per otto lunghi giorni, un’eternità… ma poi si strappò alla morte con una tenacia pari solo a quella di sua madre. I medici fecero davvero miracoli: nulla è rimasto delle tremende ferite che le avevano deturpato il volto.

Gli anni che seguirono furono durissimi e non mancarono episodi dolorosi in seno alla famiglia. Finita la guerra, molti prigionieri tornarono alle rispettive case, zio Mario no.

Alcune indiscrezioni ed ulteriori investigazioni misero in luce un nuovo ipotetico scenario. Per uno strano scherzo del destino, su quella stessa nave, era imbarcato un altro soldato, il cui nome differiva solo per una “n” da quello di mio zio: “Marino” anziché “Mario”.

Un semplice errore di trascrizione aveva scambiato il destino dei due: l’altro era effettivamente arrivato in Tunisia, di lì prigioniero in America, per poi tornare a casa; zio Mario, invece, quasi sicuramente, si era inabissato nelle acque tunisine in quella lontana notte di novembre del ’42.

Ovviamente, nonna rimase sorda a questa possibilità – non ne volle mai sentir parlare – anche se, di fatto, nessun indizio aveva mai fatto pensare che suo figlio fosse ancora vivo… neanche quando, dopo diversi anni, le arrivò un telegramma, con su scritto: “il soldato Mario S. è stato ufficialmente riconosciuto come disperso”.

Caparbia, si limitò a conservarlo con cura, continuando a nutrire dentro di sé la speranza che l’aveva accompagnata durante la sua lunga vita: che avesse perduto la memoria che, presto o tardi, l’avrebbe recuperata per ricongiungersi con la sua famiglia.

La sua incredibile forza e la tenacia sconvolgente non la avrebbero abbandonata mai fino alla fine dei suoi giorni, aiutandola a superare le dolorose prove che il destino le aveva riservato.

Quante volte l’ho sentita affermare “… e nun me venissero a dì che se more de dolore… nun è vero! er dolore te lo devi scortica’ fino’n fonno!”

 

Non pronunciò mai la parola “morto”, né smise di aspettarlo.