La porta di quella casa era gialla. Non un giallo legnoso, non un giallo spento, né opaco.

Era gialla di un bel giallo brillante, che risaltava sulle vecchie mura bianche di pietra.

La tentazione di superare l’ulivo che vi si ergeva di fronte e cercare di aprirla era troppo forte per Giorgia. Lo stesso effetto che si prova di fronte ad un bel pacco di Natale, sapientemente incartato per incuriosire i palati più fini.

La piccola usava vagabondare per il paese in solitudine, alla ricerca di insetti da infilare nel suo barattolo dosa-sale in vetro, molto trasparente, con dei bei buchi sul tappo a vite in alluminio, che sua sorella le aveva consegnato come si farebbe con una missione speciale, per cercare di tenerla impegnata e togliersela di torno per qualche ora.

Per Serena, di sei anni più grande, erano finiti i tempi della caccia ai grilli, e già iniziati quelli dei timidi corteggiamenti e dei cuori palpitanti. Giorgia che era stata compagna dei suoi giochi fino a qualche mese prima, ora era diventata di impaccio. Non che Serena non la adorasse, ma i suoi attuali interessi non erano compatibili con la piccola, che se ne rammaricava, accontentandosi degli avanzi di tempo, come il momento dei pasti… Ma anche allora, lo si capiva perfettamente, il pensiero di Serena era altrove. Magari – pensava la piccola – a ricevere uno di quei baci schifosi dal ragazzino che dal paese vicino ogni tanto raggiungeva il loro, a cavallo di una bici rossa fiammante… “bleah!”

In quel paese di poche anime tutti si conoscevano. Tutto era conosciuto.

Eppure quella casa e quella porta gialla, Giorgia proprio non ricordava di averla vista prima. Sì, poteva essere stata dipinta di recente… Ma era proprio tutto quello scorcio a non ricordare affatto. Ma allo stesso tempo, in qualche modo, le era familiare.

Si avvicinò, guardinga, e assicuratasi che non vi fosse qualcuno in arrivo, giunse a toccare la porta.

Era ruvida e calda. Passò la sua mano per tutta la lunghezza e poi sul muro bianco. Fino a raggiungere la finestra. Si mise in punta di piedi e cercò di sbirciare dentro. Dovette portare una mano a fare ombra, che il riflesso del sole le impediva di osservare gli interni di quell’immobile.

Quando finalmente riuscì a focalizzare dovette soffocare un urlo. La casa all’interno era del tutto identica alla sua. Non aveva alcun senso…

Raccolse il barattolo e torno a casa di corsa. Quella notte non dormì per buona parte. E, da bambina curiosa quale era, cercò di raccogliere tutto il coraggio possibile. Alla fine riuscì persino a dormire un po’.

La mattina al suo risveglio c’era come una luce nuova. Serena venne a baciare le sue guance di pane caldo, giocò con lei e la riempì di coccole. Mamma e papà la aspettavano al tavolo della colazione, sorridenti. Tutto d’improvviso le sembrò così perfetto… Sì, avrebbe potuto evitare di tornare alla casa dalla porta gialla. Ma il richiamo era troppo forte.

Serena la stava osservando, come se avesse compreso che qualcosa la turbasse. Era allerta e più disponibile del solito: le fece persino provare il suo lucidalabbra nuovo, e un po’ di ombretto rosa pesco. Voleva trattenerla e Giorgia non ne capiva il motivo ma non seppe rinunciare a quella attenzione.

Si godette il momento, si perse in quegli abbracci dal profumo di lavanda. La mamma, oh la mamma, anche lei era incantevole e profumata, più che mai.

«Sapete cosa facciamo?» disse «Oggi prendiamo le bici tutti insieme, e andiamo al fiume! Preparo qualche panino!»

«Ma mamma, e il tuo lavoro?»

«Io e papà abbiamo deciso di prenderci qualche giorno, per stare con voi» e sorrise di un sorriso che pareva la via lattea per splendore e immensità.

Passarono così i giorni più incredibili della vita di Giorgia. Non ricordava, anzi proprio non le sembrava possibile tanta unione nella sua famiglia.

Ma la porta gialla era lì, più gialla che mai, e la stava chiamando.

Alle fine si decise, approfittò di un momento di riposo pomeridiano della sua famiglia, stanca dopo una lunga gita nei boschi a fotografare insetti per il suo album. Ne avevano trovati di incredibili e anche rari!

Persino Serena, che di solito la reputava una passione disgustosa, si era prestata a partecipare solerte alla sua missione, incurante di graffiarsi le caviglie tra le sterpaglie e senza lagnarsi o sbuffare. Doveva essere finita la storia con il tipo della bicicletta rossa. E in effetti non lo aveva più visto circolare impettito sul suo bolide a pedali, quando si esibiva lanciandosi dalla discesa del castello come un pazzo, rischiando l’osso del collo, solo per fare buona impressione su sua sorella. Proprio sciocchi certi maschi.

Sgattaiolò fuori di casa, ma prima arraffò una fetta di meravigliosa torta di mele che sua madre aveva preparato, inondando la casa di quel profumo che era più simile ad un sentimento amoroso che ad un effluvio.

Lungo la strada verso la casa dalla porta gialla più volte si fermò e volse lo sguardo indietro.

Ma poi riprese il suo cammino, qualcosa le diceva che doveva affrontare quel mistero.

Nascosta dietro all’ulivo il suo respiro si fece affanno. Ma non se ne curò. Quasi chiudendo gli occhi corse fino alla porta e li riaprì piano piano solo quando fu consapevole di poter guardare attraverso la finestra.

Questa volta il riflesso era meno forte, che il pomeriggio era ormai inoltrato.

Vide un uomo compito e serio che con aria un po’ distaccata sembrava dare informazioni molto importanti ad un individuo ingobbito che poteva vedere solo di spalle. Si voltò appena. Il profilo era quello di suo padre, ma in una versione vessata dal tempo. Lo sguardo più triste che avesse mai veduto. L’unico occhio che poteva scorgere conteneva e tratteneva una lacrima.

Corse via di nuovo, più veloce che poteva, concentrata affinché il terrore del momento non le impedisse di mantenere la coordinazione. Un piede dopo l’altro, un allungo dopo l’altro, avanti, sempre avanti. Strinse gli occhi, li socchiuse e andò dritta a sbattere sul petto di Serena, che procedeva a passo svelto sulla strada del ritorno. La stava cercando.

Non le disse nulla. La strinse forte a sé, come a trattenerla, e la riportò a casa, dove mamma e papà avevano organizzato la serata film, hamburger e patatine. Suo padre era così bello, così giovane e aveva lo sguardo limpido e sereno di un fanciullo…  Si accoccolò trai suoi, nel grande divano che li conteneva tutti e quattro, e dopo qualche patatina e fotogramma si addormentò.

Passarono altri giorni, in cui evitò di pensare alla porta. Sua madre la portò a sistemarsi i capelli dal suo parrucchiere. Come era buffo. Era più un ballerino, anzi un pittore. “Io quando taglio creo emozioni”. Giorgia lo guardava estasiata e divertita al tempo stesso. La mamma tornò a casa con una testa gonfia e appariscente, era bellissima, sembrava uscita da una rivista glamour di quelle che ogni tanto Giorgia aveva rubato dalla collezione di Serena, per poi convenire che fossero decisamente più interessanti gli insetti.

Serena era molto felice, la mamma le aveva permesso di farsi quel taglio strampalato e asimmetrico, scopiazzato dalla popstar di cui ora si dichiarava fan:

«Mammatipregomammatiprego!»

«E va bene, ma solo i taglio, scordati i capelli viola!»

In quanto a lei, Giorgia, un taglio all’Amelie, la protagonista del suo film preferito. Semplice e sofisticato al tempo stesso, ad incorniciare il suo sguardo intenso, che tanto nulla le importava di più del fatto di stare lì, insieme. Poi guardare Luke che si gongolava, spiegando a cosa si era ispirato – “il taglio Pearl Jam!”, “i colori alla Soundgarden…”, le band avevano la meglio in genere – quando con la forbice e le tinte si esprimeva sulle chiome delle sue clienti un po’ scettiche, ma divertite a sufficienza da lasciarlo fare, diciamolo, era un vero spasso.

La vita andava migliorando di giorno in giorno. Tutto era così perfetto. Troppo.

E come è normale quando abbiamo qualcosa che ci riempie di gioia estrema, un senso di allarme la pervadeva. Avvertiva caducità in quella perfezione. E quella caducità la riportava dritta dritta alla porta gialla.

E così, di nuovo, sgattaiolò via un pomeriggio. Corse senza voltarsi indietro stavolta, che se si fosse fermata, di certo, avrebbe perso il coraggio raccolto con tanta difficoltà.

E di nuovo l’ulivo, e di nuovo occhi chiusi, scivolare con la mano sulla porta e infine la finestra.

Stavolta c’era Serena. Urlava. Stava urlando in faccia ad un ragazzo con la testa china e le mani trai capelli. Lo spingeva. Prima di fuggire per non incontrarlo all’uscita fece in tempo a riconoscere il ciclista impavido che un tempo aveva riempito il diario segreto di Serena. Triste anche lui, disperato anche lui… ma cosa era quel posto? Non riusciva davvero a capire. Forse il varco per un’altra dimensione, dove tutto era triste? Una macchina del tempo. Oddio, speriamo di no, che quel futuro proprio non sembrava un granché…

Stavolta, quando fu sicura di non essere stata notata, si incamminò sulla strada di casa, stranamente tranquilla. Incontrò sua madre, e anche lei non le chiese nulla, non si dissero nulla. Si abbracciarono, si annusarono e tornarono insieme alla vita che amavano.

Passò altro tempo. Giorni felici. Suo padre, Marco, decise di portarla nel suo ufficio. Presero il grande ascensore pieno di numeri, cerchiati con un filo luminoso. Tutto era luminoso, come in un film di fantascienza. Il palazzo in vetro e acciaio era altissimo. E Marco, che vestiva casual, ispirato forse un po’ dal look sobrio di Steve Jobs, aveva un ufficio all’ultimo piano. Di lì sembrava di poter vedere la fine del mondo. Entrò un signore brizzolato, completamente. Capelli brizzolati, barba brizzolata, baffi brizzolati, occhi brizzolati. Marco lo salutò e gli chiese come stesse. L’uomo sembrava voler dire tutto e il contrario di tutto, si contorceva, gesticolava, si agitava, strizzava gli occhi, rideva e si faceva serio. Un paio di volte, durante quella stramba esibizione, scapigliò affettuosamente Giorgia che lo guardava con occhi perplessi. La piccola volse lo sguardo verso Marco, che con il solo linguaggio del corpo e l’espressione del viso la pregò di non scoppiare a ridere, non facendo percepire al suo ospite un minimo calo di interesse verso il suo… cos’era quello? Un monologo forse, anche se somigliava più alla performance di un mimo.

L’uomo uscì senza aver comunicato nulla, almeno così le parve. Ma Marco le era apparso davvero complice e comprensivo. E, una cosa è certa, quando uscì quel signore aveva un bel sorriso.

Amava la sua famiglia alla follia. Non avrebbe mai, mai voluto lasciarli, ma la porta gialla mandava il suo silenzioso richiamo, tutte le notti.

Sgattaiolare diventava sempre più complicato. La sua famiglia era sempre intenta ad inventare occasioni da vivere insieme. E la cosa andava bene, ma la teneva distante dalla porta. E, ogni giorno che passava ne era più consapevole: doveva andare fino in fondo. Ormai era passato così tanto tempo dalla prima volta, che quasi non aveva più paura.

L’occasione venne la notte di Capodanno. Tutti erano in festa. Si erano ritrovati nella casa del Sindaco, che amava organizzare eventi per unire la sua piccola comunità. Passata la mezzanotte tutti si misero a ballare e a far esplodere fuochi d’artificio. Con quella confusione Giorgia non sarebbe stata notata. Prese la sacca in cui aveva già infilato una torcia elettrica e si incamminò. La luna piena e i fuochi d’artificio ad ogni modo rischiaravano la strada quasi a giorno.

Si diresse decisa alla finestra. Questa volta vide sua madre. Sfatta, magrissima, in un maglione che la conteneva troppe volte.  Era appena uscita da una stanza e piangeva le lacrime che non aveva più. Non resistette. Doveva correre a consolarla. Afferrò la maniglia ed entrò, ma si accorse subito che lei non poteva vederla.

Allora si volse verso la stanza dalla quale aveva visto sua madre uscire. Vide una ragazzina, sdraiata, gli occhi chiusi, tubi ovunque.

Serena era al suo capezzale, gli occhi ingrigiti, e accarezzò il viso a quella ragazzina che a Giorgia parve la versione sospesa di se stessa. E Giorgia avvertì nitidamente quel tocco.

Allora ricordò.

Ricordò una bici rossa che scendeva come una saetta dal castello. E la colpiva in pieno. E poi il buio. Tanto buio, tanto dolore, via il dolore.

Ricordò se stessa uscire dalla porta gialla e iniziare quella vita da sogno. Quella vita che era stata un lungo splendido sogno.

Ma ormai stava volgendo al termine. Doveva tornare in quel mondo imperfetto, ma reale. Lo doveva fare per quella famiglia imperfetta, ma reale.

Si voltò, per la prima volta guardava la finestra dall’interno.

Attraverso il vetro vide i tre volti cari della sua famiglia immaginaria.

Piangevano. Non potevano più trattenerla.

Fece un cenno di saluto.

Per Giorgia era finalmente giunto il momento di svegliarsi.