Stasera non ho voglia di niente, ho mal di testa di quello pesante, di quello che annnienta i pensieri e desidero solo che passi in fretta senz’altro baccano che perfino il contatto della tua mano ne aumenta il dolore e ne genera nuovo, così non toccarmi, ti prego, lascia che il male faccia il suo corso e domani vedrai sarò ancora pronta ai tuoi baci e alla tua tenerezza ma stanotte no, ti prego stammi lontano, lascia che io dorma da sola se dormire sarà possibile con questa lama conficcata nel capo.

E tu paziente mi lasci tutto lo spazio di cui abbisogno e vai  nello studio a dormire con la pena di questo dolore che non puoi e vorresti lenire, e chiudi piano la porta rimanendo in attesa di un mio richiamo o di un sospiro più forte, che giustifichi un tuo rientro, ma il silenzio è assoluto e così t’allontani a malincuore che avresti voluto dimostrarmi il tuo amore stringendomi tra le braccia e cullandomi come una bimba, che la virilità di un uomo è anche nella dolcezzza con cui ninna la sua donna, appagato solo dall’averla vicina, come altre volte è accaduto che la tua sola presenza calmava il dolore e di null’altro avevo bisogno che anzi, in quel letto così grande mi pareva di smarrirmi e m’accucciavo nel tuo grembo e tu, racchiudendomi tutta, diventavi per me intercapedine e protezione.

Stasera non ho voglia di niente anzi, una voglia ce l’ho e non riesco a cacciarla via dalla mente, che l’emicrania è solo una scusa e di altro ho bisogno fuorchè di dolcezza e tu non capisci e non te ne accorgi che non sono più quella di un tempo, che porto addosso l’odore di un altro, impronta di dita e di umida lingua, così ti chiedo sempre più spesso di lasciarmi dormir sola perchè ho il terrore di pronunciar nel sonno il suo nome, e tu poi come vivresti? Anche adesso mi chiedo se tu lo hai capito o se fingi perchè hai paura che io ti dica sia vero che amo un altro ma no, non è amore ma solo una smania, sfrenata ed abietta, di pelle nuda e di cieca obbedienza.

E tu non riusciresti a comprendere il demone che m’ha plagiata, la febbre che di me s’impossessa solo al pensiero delle sue dita e della sua voce perversa che umilia e comanda e m’eccita, m’eccita più delle tue parole gentili e della tua tenerezza, mi rende scoperta, facile preda, che questo è il mio ruolo nel suo gioco di sesso e non lesina nulla, insulti e vergogna, di cui mi diletto come gesti d’amore e più cado in basso e più io li agogno, più impaziente attendo il prossimo oltraggio che il desiderio è anche questo e tu non puoi sapere quanto nell’abisso si possa godere.

E tu mai saprai quanto vorrei raccontarti di quello che provo e di quanto vorrei non provare, tornare indietro a quella che ero, lasciar spalancata questa porta e far si che tu, come un tempo, liberamente vi entri, che non ci sono fantasmi ed è solo il tuo nome che nel sonno pronuncio, ma non sono più quella e della nuova me stessa tu di sicuro ne avresti disprezzo, e così ti lascio fuori da questa stanza e dai miei sogni abietti.
E forse questo è ancora amore.