È quando.
È quando mi guardi,
quando mi osservi con i tuoi occhi obliqui e sornioni, con quello sguardo impavido e curioso insieme, che mi attraversa e mi spoglia senza attendere un mio cenno, incurante delle mie esitazioni, quasi perfido nell’infierire su queste mie membra già sedotte.
È quando le tue mani, sapienti e sicure, mi scivolano addosso, e dentro, muovendosi agilmente, a colpo sicuro, negli anfratti della mia anima, inutilmente occultata, conosci i percorsi, tu.
È quando le tue labbra, ancora pregne di vino e tabacco, mi sfiorano la nuca, e il viso, sfacciatamente invadenti, assaporando il sale di lacrime e sudore, disperso attraverso i solchi della mia pelle, geroglifici antichi, a testimonianza di viaggi interiori non ancora completati.
È quando ti sento, vicinissimo, ad un niente dal mio cancello ingenuamente sprangato, nella illusoria convinzione di saperti così allontanare, precludendoti ogni possibile accesso.
È quando, con sorriso beffardo e ineffabile, mi poni – indifesa – davanti all’ineluttabilità di ciò che seguirà, perfettamente consapevole di aver comunque già vinto, sul campo sconnesso dei miei desideri.
Ecco, è quando, sì.
È quando Tu diventi Me, che io cedo, sopraffatta, alla tua volontà di Essere e di Avere. Di possedere.
Gratis.
Non hai mai dovuto pagare, tu, il pedaggio per percorrermi dentro.
L’ho pagato io, al tuo posto, per concederti via libera, a qualsiasi velocità, sulle mie strade interiori.
A te piace correre, ami la sfida, il rischio ti seduce, la (mia) lontananza ti sprona a non desistere, anzi ti incita al duello.
Troppo prezioso, il premio in palio.


Me stessa.
Ma non infierire troppo, sai, su ciò che custodisco dentro.
Non lo accetterei. Non più.
Ho nascosto un coltello, per ogni evenienza.
Sotto il cuscino.