Quando don Peppino entrò in chiesa era da poco sorto il sole, faceva un freddo cane e dopo il segno della croce si strofinò le mani per scaldarle un po’.
La sera prima con le signore della parrocchia e qualche volontario avevano smontato gli addobbi natalizi, e i tendaggi con gli angeli che suonano la tromba.
Dal grande presepio smembrato e sistemato nelle scatole erano caduti in terra muschio e farina che, malgrado avessero spazzato a dovere, avevano reso il pavimento scivoloso facendolo adesso pattinare come sul ghiaccio.
«Chi aveva avuto l’idea di mettere la farina sulle montagne?»
Si avvicinò con prudenza all’altare maggiore dietro al quale avevano sistemato gli ultimi pacchi da portare in sagrestia.
«Prima della messa dovrò passare lo straccio bagnato, magari con un po’ di detersivo, o qualcuno qui ci si ammazza», pensava «Maledetta neve!» mentre con cautela si caricava il primo scatolone.
Teneva le ginocchia leggermente piegate e con una mano si reggeva all’altare quando, per disattenzione o per volontà del destino, perse l’equilibrio permettendo ad un piede di sfuggire in avanti. In un attimo scivolò con la schiena all’indietro provocando il volo dello scatolone e del suo contenuto sul pavimento. L’urto della nuca sul marmo fu tremendo, e… fatale.

Angelina si affacciò in chiesa, seguita da Caterina e da Serafina facendo cigolare il portone. Tutte e tre intinsero la mano nell’acquasantiera malgrado fosse vuota per via delle covid (forza dell’abitudine) e si fecero il segno della croce.
«Don Peppino dove siete? Don Peppino?»
Ma don Peppino non rispondeva.
Le tre donne notarono sul pavimento un pastorello, una casetta, una pecorella smarrita, e poi videro le gambe del sacerdote sbucare da dietro l’altare maggiore.
«Don Peppì!» gridarono all’unisono, ma ebbero la prontezza di telefonare e chiamare i soccorsi.
«Signore accoglilo in paradiso»

Don Peppino percepì dapprima la morbidezza del letto che lo accoglieva, poi un profumo pungente, simile all’incenso. Aprì gli occhi e li socchiuse immediatamente per proteggersi da quel biancore accecante.
«Ma dove diamine sono finito?»
Quello sotto di lui però non era un letto: si trovava incredibilmente sdraiato su di una nuvola! «O sto sognando o sono morto!»
Si alzò in piedi agilmente, senza il solito dolore al ginocchio, si accorse della tunica bianca che indossava e si guardò intorno meravigliato.
Si porto le mani ai capelli e alzando gli occhi al cielo, esclamò «Grazie!»
Ma non riuscì a lacrimare per la gioia; non si era mai sentito così leggero, sollevato, felice!
Intorno c’erano centinaia di soffici nuvole bianche dalle quali emergevano figure sdraiate che, come lui, si guardano intorno stupite. In lontananza vide una lunga fila di uomini, tutti in tunica bianca e, sprofondando su quella soffice bambagia, si diresse verso di loro.
Erano tutti uomini. Strano? E cosa c’era di normale in quella situazione?
Prese posto in fila sorridendo e chiese timidamente all’uomo davanti a lui
«Scusi ma qui è…?»
«Si, certo.»
«Ma, dice davvero?»
«Si, fratello mio, qui è!» battendogli sulla spalla e riprendendo il posto in fila.
Con la gioia nel cuore don Peppino iniziò il suo cammino verso l’Eterno.

Dopo un tempo indefinito, sempre avvolto da una musica dolce ricca di flauti e campanelli, si trovò di fronte ad una porta a vetri e strabuzzò gli occhi strofinandoseli con entrambe le mani. La bocca gli rimase aperta per lo stupore perché, dietro il vetro, c’era una moltitudine di ragazze bellissime completamente nude, eccetto qualche velo che non riusciva a coprire praticamente nulla. Le giovani si dimenavano lentamente e lo invitavano con movenze sensuali e chiarissime ad avvicinarsi. Ammiccavano in lievi gesti a dir poco osceni che avevano il chiaro scopo di risvegliare tutti i suoi sensi.
«O mio Dio!» gridò allora don Peppino, abbandonandosi completamente a quella visione.

Immediatamente si materializzarono accanto a lui due energumeni che erano abbigliati di blu come i tuareg del deserto e portavano lunghi baffi neri spioventi. Mancava loro soltanto la scimitarra.
«Ei tu, vieni subito qui.»
«Chi, io?» chiese con aria perplessa.
«Cosa hai appena detto? Ripeti.»
«Io…ho detto: Dio mio!»
Uno dei due alzò gli occhi al cielo con un gesto di stizza.
L’altro prese dalla tasca un cellulare e velocemente formò un numero. Bip, bip, bip
«Scusa Pietro se ti disturbo, non ci crederai ma successo di nuovo. Giù in purgatorio devono essersi bevuti il cervello, è il terzo cristiano che ci mandano questo mese!
E vuoi ridere? Questo mi sembra tanto un prete. Che facciamo?»

Angelina, Caterina e Serafina, tenevano il viso incollato al vetro che le separava dai letti della terapia intensiva del policlinico.
«Dottore, come sta? Ancora piange…»
«Il paziente ha subito una commozione celebrale non indifferente. Se il personale dell’ambulanza non fosse intervenuto prontamente lo avremmo sicuramente perso.
Purtroppo da quando si è svegliato non fa che piangere e ripetere la stessa frase.»
«E cosa dice dottore?»
«Ripete sempre: Mi sono sbagliato, mi sono sbagliato…. Allah è grande!»