C’è una curiosa leggenda su di me, forse generata dal fatto che sono nato maledetto, da una relazione illecita che mia madre aveva avuto dopo essere stata abbandonata. Due volte maledetto, perché Virginia, la mia giovanissima moglie, è morta nel dare alla luce un figlio.

Qualcuno dice che ho stretto un patto col diavolo, sì, la mia anima in cambio della capacità di poter suonare la chitarra come nessun altro al mondo. É una fandonia, sapete, il diavolo avrebbe fatto un ben magro affare: un così importante regalo in cambio di un’anima già sua, già perduta per sempre! Ma in un certo qual modo l’ho conosciuto davvero, e vi racconto com’è stato, prima che questa bottiglia di Wild Turkey sia finita e lui mi prenda a braccetto, come sempre succede.

Avevo diciotto anni, una famiglia e un figlio che stava nascendo, e il giorno dopo non avevo più niente. A quell’età questo è spesso sufficiente per morire, ma io invece sparii. É facile affondare lentamente nell’oblio, arrivare ad odiare il mondo e Dio, cambiare nome, lavoro, paese. Ma io non lo feci, presi tra le mani la mia inutile chitarra, che a quel tempo suonavo in maniera davvero goffa, e cominciai a percorrere le strade senza una meta. Una notte sentii una musica terribile e triste che sembrava l’essenza stessa dell’oscurità e pervadeva gli alberi, la strada e le pietre ai suoi bordi. Io la cercai, la inseguii a lungo, fino alla sua sorgente.

Fu così che incontrai lui, che di nome faceva Ike Zinneman: alto, vestito di nero, offriva la sua musica ai silenziosi abitanti di uno sperduto cimitero, girando tra le tombe in una lugubre serenata. Rimasi affascinato dal suo suono, dalla sua bravura, dalla sua sinistra bellezza. Lui mi vide, forse sapeva da sempre che sarei venuto, e si diresse verso di me senza smettere di suonare. Guardai nei suoi occhi e vidi lo specchio della mia vita. Non resistetti oltre e mi inginocchiai ai suoi piedi, lui mi pose la mano scarna sul capo. Non ci furono parole, presi la mia chitarra e cominciai a seguirlo per i cimiteri, poi per i paesi e infine per il mondo, assorbendo come una spugna novella la sua musica e la sua anima. Come sempre, alla dannazione dell’anima seguì quella del corpo: poiché Dio mi aveva strappato il mio unico amore mi vendicai amando infinite donne, affascinate dalla mia musica sublime e infernale, e per una donna morii, avvelenato dalla mano traditrice di un marito geloso.

Ma volevo morire, amico Sonny Boy che mi hai strappato di mano quella bottiglia mortale, volevo morire perché il mio tempo era passato, e il diavolo richiedeva il suo prezzo, che non era solo la mia anima spersa ma anche il rispetto di una data di scadenza. E pur essendo partito così presto, signori benpensanti, untuosi borghesi timorati di Dio, ho lasciato al mondo qualcosa d’immortale, la mia musica che è il grido di un’anima straziata, che è più di quanto potrà lasciare il migliore di voi, e ho pure beffato l’Oscuro perché morendo ho ritrovato l’abbraccio di Dio, quel Dio che perdona i suoi figli perduti se sanno vivere con il cuore in mano e morire con una lacrima negli occhi.