Fu nel momento in cui il piede scese dal predellino del treno che sentì che c’era un errore, che quella non era la sua vita.

Eppure la valigia era la sua, l’immagine riflessa nel vetro della porta della sala d’attesa era la sua ma un senso di estraneità a quel contesto lo pervadeva; c’era qualcosa d’errato e lo sentiva addosso come il vestito di un altro.

Quelle tre ore di treno tra la signora Cosciatonda pisolante e ciondolante, lo schizzato seduto lì vicino dalla gamba tip-tap e il ragazzo dall’ascella no-deodorant erano state dure, una specie di itinerario penitenziale a cui si era dovuto adattare e ne era uscito stremato.

Era salito su quel treno perché quella era la strada da sempre tracciata per lui in quanto futuro avvocato, figlio e nipote d’ avvocati. Ed ora stava tornando all’università perché quello era ciò che da sempre sapeva di dover fare. C’erano infatti uno studio ben avviato ed un popolo di litigiosi che lo aspettavano .

Si, ma quando era stato che aveva consapevolmente deciso tutto ciò?

Si era fatto trasportare dagli eventi senza guardarsi dentro ed ascoltare la propria voce. Quella voce che adesso chiara e netta gli diceva:” Ma dove cazzo vai, cretino !”

Era come se un velo che lo avvolgeva si fosse lacerato inaspettatamente proprio in quel momento e lì.

Si sentiva come leggermente brillo, le cose intorno sembravano avere un altro colore più vivo ed un senso quasi di euforia gli stava crescendo dentro perché la sua anima aveva iniziato a respirare man mano che quella coltre opprimente scivolava via.

Passando davanti all’edicola vide un giornale in cui un articolo prometteva ‘ Tre notti a Parigi, euro 450’.

Parigi… mai stato a Parigi.

E allora si ricordò d’un colpo di Linette, quella francesina dagli occhi ridenti e per niente male conosciuta quell’estate a Rimini.

Lo portava in giro per la sua aria seria e per quel fare impacciato, quasi da antico signore.

Certo, ci aveva fatto un pensierino ma l’aveva subito ricacciato via perché certe cose, gli era stato insegnato, non si fanno con leggerezza ed aveva cose ben più serie da fare come, ad esempio, studiare per l’imminente esame.

Ottuso fino alla fine anche quando quella sera, guardandolo fisso negli occhi, lei si era fatta vicina, troppo vicina e con quell’accento che gli metteva il fuoco addosso gli aveva sussurrato:

“ Ah, Giorgio, se venissi a Parigi ti farei scoprire l’euforia di vivere” e  gli aveva dato il suo numero di telefono.

Aveva proprio bisogno di fermarsi un attimo a pensare; entrò in quell’anonimo spartano bar della stazione e si sedette davanti ad un caffè.

Fuori c’era l’autobus 32 da prendere e poi avrebbe dovuto scarrozzare la valigia per un po’ fino alla stanza che aveva in affitto con Giovanni-piede-fetido, il rompiballe invasore d’ogni suo spazio.

C’erano 15 esami dati, le aspettative dei suoi da non deludere ma….adesso e per una volta, la prima, accidenti a tutti loro.

Ora la voce dentro aveva iniziato ad urlare: “ Imbecille, deficiente, succube, svegliati!”.

Si sentiva bene ora e tutto sembrava al suo posto.

Andò alla biglietteria : “ Uno, andata per Parigi”

Il resto poteva aspettare.

Foto trovata nel web