In quel saloon annebbiato dal fumo dei sigari qualcuno aprì la finestra che affacciava sul vicolo adiacente, poi con voce rasposa annunciò lo scivolo del boccale pieno di birra lungo il bancone di mogano appena lucidato.
L’avventore seduto in fondo l’agguantò al volo e la bevve tutta d’un fiato per far godere la gola riarsa dalla polvere, mangiata non certo per piacere.
Era Big Wyatt, un minatore grande come un armadio, con una pariglia d’occhi verde giada che illuminavano quel viso interamente coperto di nero carbone. Quella sera, finito il lungo turno di lavoro era passato di lì prima di rincasare.
Stava per ordinarne un’altra quando le ante dell’entrata sbatterono al muro, lasciando uno sfregio sul battente di legno che proteggeva la vernice. La spinta le fece dondolare per un tempo più lungo del solito in senso inverso, l’una lontano dall’altra, l’una sventolando l’altra.
Tutti gli astanti si voltarono da quella parte e Big Wyatt rimase a bocca aperta quando riuscì a inquadrare l’aspetto di chi si era irrotto nel locale.
Dopo una furtiva occhiata agli stivali di una splendida vernice color miele, salì con gli occhi i gradini di quel corpo un po’ troppo dondolante perché si potesse trattare di persona sobria.
Notò un sigaro scuro, spento, che a stento stava in una bocca troppo piccola e concentrata a non farlo cadere.
Gli arrivò a pungere il naso un odore intenso di dolce e concentrò il suo sguardo sul carnato liscio di quel viso, baffato di pennellate scure.
Notò anche un ciuffo ribelle che usciva da sotto il cappello di cuoio a tesa larga che aveva un non so che di familiare.
Il tempo pareva sospeso.
Dopo il primo bisbiglio si era fatto silenzio nel locale e mentre tutti gli occhi puntavano quella figura curiosa, un tuono rimbombò e risvegliò l’intorno, facendo sobbalzare la figura che non potè che caracollarsi sul pavimento come una torre costruita senza cemento, dividendosi in tre elementi.
La tensione si sciolse nel momento in cui tre ragazzini in scala si rialzarono di scatto incolumi, e sporchi di cioccolata corsero verso Big Wyatt per abbracciarlo.
Non lo vedevano da due settimane ormai.
Era il loro padre.
Sapevano che quella sera sarebbe tornato ma temevano fosse troppo tardi per riuscire a vederlo, quindi avevano escogitato un piano di comune accordo per cambiare le cose, e ci erano riusciti a fargli una bella sorpresa, o almeno così si augurarono.
Sì, fu proprio bella, e al resto ci avrebbe pensato lui con quel suo modo di sistemare le cose, rasserenando in primis la madre preoccupata per la loro breve scomparsa.
Sapeva dosare parole e gesti lui,
sapeva accogliere, sapeva mediare, sapeva raccontare.
E sapeva anche scrivere, gli piaceva farlo raccogliendo in quaderni le storie che narrava ai suoi bambini, adoranti a lui in quei momenti speciali.
Le lasciò tutte in testamento nel suo diario odeporico.
Oggi i suoi posteri si divertono a sfogliarlo e ogni volta che si legge una storia pare proprio sia presente anche lui, si sente odore di carbone.