Chi dice che i grandi non sbagliano mai?

Nessuno, ovviamente, neanche gli stessi grandi, che semmai sottolineano sottovoce che tutti possono produrre opere non di qualità stilisticamente eccelsa (traduzione: ciofeche), eccetto loro, ovviamente.

In questo caso voglio portare ad esempio uno scrittore che amo molto, Georges Simenon.
Premetto che quando penso a Simenon per forza di cose penso a Maigret, nonostante lo scrittore belga abbia scritto molti altri libri, alcuni di notevole valore, come Tre camere a Manhattan e Lettera al mio giudice, e quando penso a Maigret non posso fare a meno di pensare a Gino Cervi (così come quando penso a Nero Wolfe penso a Tino Buazzelli), quindi per la proprietà transitiva per me Simenon e Cervi sono inscindibili, così come sono inscindibili certe atmosfere parigine che hanno fatto la storia del romanzo giallo «borghese».

L’altro giorno, però, mi è capitato di prendere in mano dalla mia sterminata raccolta di libri di Simenon (esagero: sono solo 75) una collezione di racconti, La locanda degli Annegati, in Adelphi, ma come ho letto il primo brano non sono riuscito a capacitarmi: era davvero Simenon? Quando poi sono passato al secondo sono rimasto ancora più perplesso: era vero, era Simenon e si parlava di Maigret, ma i due racconti facevano entrambi schifo.
Sorvolo sul fatto che il terzo, da cui prende titolo la raccolta, è tutt’altra cosa e rende onore alla fama dello scrittore, ma i primi due… Vediamo perché.

Cosa è capitato con quei due racconti sbagliati?

Il primo racconto, L’innamorato della Signora Maigret, vuole essere al tempo stesso spiritoso e mettere in primo piano per una volta la moglie dell’illustre commissario, portando l’azione quasi in casa sua, e precisamente nel cortile di Place des Vosges, quell’incantevole angolo di Parigi di cui qualsiasi visitatore non può non innamorarsi. Qui alcune spie architettano uno scambio di informazioni francamente incredibile per giustificare un omicidio di cui vengono a capo contemporaneamente Maigret e la sua signora. E’ assolutamente banale, cervellotico e mal costruito. Il commissario fa la figura di un bizzoso uomo della legge che è soprattutto preoccupato di non farsi superare in astuzia dalla moglie.

Il secondo racconto, La vecchia signora di Bayeux, ha perlomeno il pregio di ospitare dialoghi all’altezza della fama di Simenon, giustamente scarni come nel suo stile ma perfettamente inseriti nel testo, tanto che si può dire che per larga parte lo sostengano direttamente loro, ma la trama…
Già l’ambientazione, spostando l’azione fuori da Parigi, a Caen, perde molto del fascino originale, perché Simenon non è autore che indulge in lunghe descrizioni, e mentre se si parla della capitale francese o del Quai des Orfèvres, il mitico palazzo di giustizia di Maigret, attingiamo ai tanti particolari immagazzinati nella nostra memoria leggendo altri suoi romanzi, della cittadina della Normandia veniamo a sapere solo che è triste e provinciale, avvolta nelle maglie di una borghesia perbenista che lega persino le mani del procuratore.

La storia è come tante, un omicidio che si tenta di far passare per morte naturale, e l’idea è quella di uno scambio di cadavere. Niente di mai visto, ma la dinamica è realizzata in maniera tanto cervellotica che è veramente difficile avere la voglia di starci dietro: tutto si basa – e sarà anche la strada attraverso cui il commissario arriverà alla verità – sulla diversa tappezzeria delle due stanze utilizzate per scambiare i cadaveri facendo esaminare dai medici quello di una vecchia morta di cuore anziché quello della vittima. Io, che non sono per niente brillante nell’indovinare la soluzione dei gialli che leggo, l’avevo capito alla prima citazione: probabilmente chi è più bravo di me l’avrà fatto leggendo il titolo, o quasi.

Non mi scuso per lo spoiler dei primi due racconti perché credo di aver fatto un favore ai potenziali lettori: cominciate dal terzo, La locanda degli Annegati, e vedrete che non ve ne pentirete!

Non è il caso di Simenon, ma parliamo di Ghost Writer…

Discorso a parte e non del tutto fuori tema: è risaputo che molti prolifici autori utilizzano ghost writer per rispettare i loro munifici contratti con le case editrici. Non sarà (e non credo che sia) il caso di Simenon, ma Wilbur Smith, per dirne uno, è parecchio chiacchierato a questo riguardo, mentre è noto che Lovercraft lavorò parecchio in questo ruolo (e mi domando che dialoghi scrivesse, visto che non ha mai veramente imparato a farli), ma comunque il fenomeno è largamente diffuso, e non sto parlando di autobiografie o scritture post mortem, ma di vere e proprie frodi per il lettore.

Io però credo che uno scrittore amatoriale (parlo ovviamente di persone che sanno scrivere) sia perfettamente in grado di costruire un racconto o persino un romanzo di un autore che conosce bene e che è nelle sue corde, di cui ha studiato ed assimilato lo stile al punto di farlo passare per suo. Non sarà una pietra miliare, naturalmente, ma un onesto romanzo seriale sì.
Immagino anche che se mi recassi da un editore con un tale romanzo, quello lo infilerebbe subito nel cassetto delle «opere da valutare con moooolta calma», anticamera del cestino della carta straccia o di quello di Windows. Però, se arrivassi con un pacco di fogli «trovati per caso in un cassetto del mio zio paterno Italo Calvino» credo gli si accenderebbero gli occhi e…

Mi piacerebbe fare un gioco, che si potrebbe chiamare proprio «il gioco del ghost writer dilettante» e vedere cosa ne verrebbe fuori… Se non fosse che scrivere è divertimento ma anche fatica si potrebbe inondare di falsi – quasi veri il web e… 😉

Come approfondimento approfitto per rimandarvi all’interessante intervista di Marilda Nicolini al figlio di Simenon da lei stessa condotta per Writer Monkey.