AMY – DI ASIF KAPADIA Chi ha ucciso Amy Winehouse? E’ stata la droga, che si è concessa con troppa leggerezza? E’ stato il suo ex-marito, Blake, uno sbandato in preda ai suoi deliri di alcool e coca? E’ stato suo padre, un uomo fin troppo attento al business, quando sua figlia aveva bisogno di aiuto? I manager, i produttori, i giornalisti e i discografici, sempre pronti a succhiare quel che restava, finché la mela non si è seccata? Oppure lei stessa ha alzato la mano su di sé?

 

Nel suo documentario, Kapadia sembra suggerirci che tutte queste domande sono giuste, e le risposte fin troppo facili. Ma aggiunge qualcosa. A un certo punto mette in scena un nuovo personaggio, ed è lui a dire – “Siamo stati noi. Tutti noi.” Amy è stato uccisa dal suo stesso pubblico, che da un lato la adorava, la invocava, si commuoveva per le sue canzoni, e dall’altro sghignazzava felice, insultandola, quando si presentava sul palco ubriaca, troppo fatta per cantare. Le risa, gli insulti, le battute sui social, i video, le imitazioni, i commenti cattivi… se tutto questo vi suona familiare, è perché è sempre sotto i nostri occhi – sempre, ogni giorno. Sono qui su Facebook, e a volte tutto questo mi fa paura. La retorica non serve – Amy ormai è andata. Ovunque sia, ci restano le sue canzoni, magnifiche. E lo sguardo triste del suo viso, che dovrebbe farci pensare.