BLANKETS, DI CRAIG THOMPSON  A volte immagino l’America come una strada, che parte da New York e si stende nelle pianure per centinaia, migliaia di chilometri. Una Highway che conduce attraverso deserti, colline, pascoli e città di provincia. In una di queste abita Craig Thompson. Un ragazzo speciale, dolce e sensibile, pieno di magnifico talento, ma costretto dalla vita in una gabbia d’acciaio. Nato in una famiglia povera, nell’America rurale, passa così i suoi anni migliori. La scuola, la parrocchia, le follie religiose, il fanatismo e la stupidità dei compaesani, e poi mille giornate solitarie, fra un cinema e un drugstore, un centro commerciale…

 

Eppure il destino gli ha riservato dei doni. Uno è la capacità di amare. L’altro quella di creare storie. Per esprimersi ha bisogno di fonderli, di trovare una Musa verso cui rivolgere la sua Arte. Ed è questo che accade. Blankets non è altro che la sua vita, colta in quella stagione in cui si può davvero amare alla follia, con forza, senza riserve: l’età dell’adolescenza. Quando “passione” non è soltanto una parola, ma una religione, a cui sacrificare il meglio di se stessi. Solo che Raina è distante. Come per una condanna, abita lontanissima da Craig. Possono vedersi di rado, e per il resto, scriversi lettere, aspettando che anche queste, un giorno, vengano distrutte dalle e-mail.

 

Non voglio svelarvi altro: sapete già come vanno certe cose. La vita è fatta di necessità, di cause ed effetti. Non c’è spazio – né qui né in America – per qualcosa che le sfugga. Tutto è destinato a spegnersi, e farsi poi ricordo, in un futuro lontano, quando Craig ormai è altrove. Solo allora “il cristallo di respiro”, quello che per Celan, era sinonimo dell’Arte, può posarsi su un foglio, e arrivare fino a noi. Allora ritroviamo la magia, e ci chiediamo se anche noi, un tempo, siamo stati così. Prima delle lauree, degli stage, dei mutui, delle fregature e i tassi di interesse. Prima del cinismo e la crisi, della stupida follia di ogni giorno. Domanda inutile. Probabilmente non riuscivamo a sentire con la stessa forza, non potevamo soffrire, fino a quel punto, perché questa è prerogativa di pochi. Di quelli come Craig Thompson, che hanno molto sofferto, solo per lasciarci qualcosa di inestimabile. Allora possiamo solo dire “grazie”. Grazie Craig. Ne è valsa la pena.