HOLLYWOOD BABILONIA, DI KENNETH ANGER  Un giorno, fra quelle magiche colline, baciate dal sole, era arrivato un circo davvero esaltante. Era un po’ diverso dagli altri: tutto ruotava intorno a una lanterna magica, chiusa in un tendone, che proiettava sulla parete immagini in bianco e nero. Che spettacolo! Era ancora meglio del teatro, del vaudeville, di qualunque cosa mai vista prima, perché poteva essere riprodotto all’infinito. E nasceva da una macchina, come una magia. Di colpo migliaia di persone si accalcavano laggiù, correvano e spingevano solo per comprare delle caramelle, dei popcorn, e poi assieparsi sulle poltroncine, in attesa dello show. Non c’erano più né clown né attori, ma la loro immagine, ripetuta all’infinito sullo sfondo di un tendone: le scritte annunciavano HOLLYWOOD!, ed non c’era più dubbio, nessuno – quello era la nuova frontiera, il posto dove andare per trovare l’oro, e navigare per sempre fra fiumi di latte e miele. HOLLYWOOD, la Città del Piacere. HOLLYWOOD, il Paradiso Terrestre, dove Eva assaporava una mela dolcissima, ricoperta di arsenico.

 

Come diceva Goethe, “dove c’è molta luce, là l’ombra è più nera”; è quasi una legge di natura, e infatti si trova descritta in un suo libro “scientifico” – La Teoria dei Colori. Al di là di ogni morale – spesso fatta di invidia – il meccanismo si è riprodotto con tetra esattezza nel corso dei secoli, fin dai tempi degli Imperatori Romani. E come non ritrovarlo laggiù? Come sperare che ora quegli uomini, quelle donne, appena sopravvissuti al Selvaggio West, alle follie della Guerra, potessero non impazzire di fronte a tanto? Non erano più esseri umani, ma dei. Girare un film in quegli anni significava guadagnare più di quattromila dollari la settimana, cifra ancor oggi esaltante, e che cent’anni fa significava la pura ricchezza (ma si arrivava a milioni). E poi ancora: sesso, in una serie infinita di festini, di orge e bordelli, fama assoluta, e un vortice inesauribile di alcool e coca, di whisky e anfetamine. Per dare un’idea, un giorno si era diffusa la notizia che Charlie Chaplin – quel magico monello, travestito da pierrot – sarebbe arrivato in treno a New York. Ed ecco che la stazione, presa d’assalto dalla folla, era stata immediatamente chiusa, per la pressione di migliaia di uomini che si accalcavano sui binari. Non passava più uno spillo, a Central Station. Succederebbe lo stesso, oggi, per Brad Pitt o Lady Gaga? E George Clooney, se anche diventasse Presidente, potrebbe convincerci, come Welles, che gli alieni stanno attaccando la Terra? Ne dubito.

 

Quella dolce follia dilagava, si spandeva ovunque, intorno a Hollywood, finché l’unico limite non era che la fantasia. I vecchi confini, creati dalla morale, dalla miseria, dalle convenzioni sociali, non avevano più senso a Babilonia. Molte donne, come Joan Crawford – la Diva per antonomasia – passavano dal bordello al cabaret, dal sofà del produttore alle magie del palcoscenico, in un’ascesa che pareva infinita, quasi inarrestabile. E che dire di Charlie Chaplin – il caro Charlot – che aveva messo incinta una quattordicenne? E del povero “Fatty” Arbuckle, comico milionario, organizzatore di un’orgia spettacolare per il suo compleanno, e poi accusato – pare ingiustamente – di aver violentato una donna con una bottiglia? O della dolce Marilyn, partita come prostituta alle feste dei produttori, e finita, dopo mille trionfi, in un vortice di cadute e psicofarmaci, fino a una morte dai contorni oscuri? O della sua sosia, Jayne Mansfield, decapitata da un camion in un incidente stradale, anch’esso molto strano? Non mancavano puri drogati come Peter Lorre, predatori sessuali del calibro di Fred Karno e Louis B. Mayer, razzisti convinti  à la Griffith (il suo capolavoro, Birth of a Nation, è un inno alle magiche imprese del Ku Klux Klan), personaggi ineggianti alla droga (Coke Allday – Coca Ogni Giorno), e ancora, politici-mafiosi alla Joseph Kennedy. Come diceva Von Stroheim “eravamo gentaglia, noi di Hollywood, avidi e vili”.

 

Hollywood Babilonia è dunque una fiaba nera, un libro diverso da tutti gli altri, perché fatto prevalentemente di foto, intorno alle quali scorrono le parole. Il suo creatore è un altro personaggio da cinema – Kenneth Anger, sceneggiatore, regista, autore di film sperimentali, ma anche seguace dell’occulto, discepolo del satanista Aleister Crowley, fine conoscitore di droghe e primizie cinematografiche. Nessuno come lui può cantare questa filastrocca, in cui il circo di Hollywood riprende a muoversi, a cantare e ballare, sempre immerso in una luce sinistra. Ci sono pettegolezzi, cattiverie, particolari da rotocalco in puro stile Dagospia (chi era quell’attore che si divertiva a suonare il piano con il membro? Chi era quel produttore che volava sulle liane come Tarzan, completamente nudo?) ma il livello è decisamente superiore. Va in scena un’opera d’arte surrealista, alla Max Ernst, in cui il reale è semplicemente tagliato e incollato, messo di sbieco finché non appare per ciò che è – pura pazzia. Eppure è successo davvero.

 

Le follie dello show business continuano ancora oggi, anzi, sono un ingrediente essenziale del circus. Non c’è star di Hollywood che non abbia fatto il suo bel rehab, non c’è attore o produttore senza il solito plot fatto di divorzi, droga, risse e colossali sbronze. Woody Allen (già famoso per le sue storiacce sentimentali) ce ne ha dato un saggio in Celebrity. Forse il primo premio andrebbe a Charlie Sheen, ma è già un’altra storia. Tornando a Anger, e al suo splendido libro, ci suggerisce che Hollywood non è altro che un Holy-Wood, un bosco sacro, al cui interno c’è un recinto pieno di croci. Là giacciono decine, centinaia di attori, uomini e donne baciati dalla fama, e da questa distrutti. Perché nella vita si sopravvive a tutto, tranne che al successo. E nessuno può salvarsi da Hollywood.