Mi chiamavo James “Big” Mahone e sono qui grazie a Jack Folla.

Ero un teppista come tanti a Los Angeles, come tanti facevo parte di una band e passavo le giornate a scorrazzare in macchina per le periferie facendo casino. Saltuariamente lavoravo, un film porno o una partita di coca da piazzare. Raramente un servizio a qualcuno.

La notte invece si viveva.

Un giorno disgraziato ero seduto sulla spalliera del sedile posteriore della Buick decapottabile di Louis quando, girata una curva, siamo capitati nel mezzo di un regolamento di conti tra portoricani e gente della costa ovest. Quel deficiente ha inchiodato e girato la macchina con un testacoda, e io mi sono trovato a rotolare in mezzo alla strada.

Mi sono alzato mezzo stordito e ho visto due uomini a terra e vicino a loro una mitraglietta, una Mac-10. Guardandomi intorno ho preso l’arma – avrei potuto rivenderla per almeno mille dollari – e ho fatto per allontanarmi, ma proprio in quel momento è arrivata una macchina dei cops che mi ha bloccato.

Sono scesi due agenti con le pistole spianate e proteggendosi con le portiere blindate dell’auto mi hanno urlato di gettare l’arma. Ero fottuto.
Lasciai cadere l’Ingram. I poliziotti si rilassarono e uscirono dal riparo venendomi incontro. Raccolsero il mitra.

«Ehi John» fece uno, sventolando la pistola, «che ne facciamo di questo negro di merda?»

L’altro ammiccò:

«C’è stato un regolamento di conti, si sono ammazzati tra loro. Va bene così, tre morti, niente grane».

E alzò la canna verso di me, che ero di fronte a loro con le mani alzate.
Quello che nessuno dei due sapeva è che tengo sempre la mia Glock in una fondina a centro schiena e che sono un ottimo tiratore.

Lasciai la scena il più rapidamente possibile sperando di non essere notato, anche se sapevo che era difficile sparire per un negro alto più di due metri. Però ero libero.

Vagai per la periferia in cerca di un’auto da rubare. Inutile cercare i miei amici, ormai scottavo più della brace. Finalmente ne trovai una e partii verso nord, pensando che le strade verso il Messico sarebbero state le prime ad essere bloccate. Arrivai senza problemi a Thousand Oaks e mi fermai ad una stazione per fare rifornimento e mangiare qualcosa. Presi anche un paio di bottiglie e fu quello a fregarmi. Dovete capirmi, avevo avuto l’adrenalina a mille per delle ore e adesso stavo  cominciando a sentirmi svuotato.

Mi risvegliai in un fosso a bordo strada, mentre la polizia mi stava tirando fuori dall’auto.
Dopo un paio di controlli si accorsero che l’auto era stata rubata e mi sbatterono in cella.

Ero morto, tra poco avrebbero collegato il furto con i due poliziotti morti e sarei stato fortunato se mi avessero mandato sulla sedia elettrica. Ma probabilmente mi avrebbero ammazzato lì.

Fu a questo punto che intervenne Jack Folla. Non so come fece, ma in qualche modo manipolò la banca dati e il furto dell’auto divenne un refuso: nessuna denuncia, anzi, il proprietario dichiarò al telefono che me l’aveva prestata, imprecò sapendo che era andata distrutta, ma poi disse che era assicurata anche contro i danni.

Così, per merito suo, adesso sono ad Alcatraz, ma come guardia, non come prigioniero.

Era il minimo che potessi fare, e comunque Jack sa tutta la mia storia e se volesse potrebbe prendermi per le palle. Ma non ce n’è bisogno, so essere riconoscente, e a lui ai suoi compagni dico: resistete ragazzi, non siete soli!