Dopo il brusco scambio di battute, il turista ritornò dai suoi connazionali, mentre Leonard fece un cenno all’autista del fuoristrada.
«Ehi tu, come ti chiami?»
Il ragazzo stava rannicchiato vicino a Schneider, le braccia intorno alle ginocchia, in silenzio.
Sentendosi interpellato si riscosse, abbandonando i suoi pensieri.
«Obi, signore!»
Leonard fece un paio di passi e si sedette vicino a lui.
«Tu non sei del luogo, vero?»
«No, signore, io sono nato a Nairobi».
«E quindi non hai mai vissuto nella savana…»
Non ci fu neanche bisogno che il ragazzo rispondesse, tanto era evidente la conclusione.
«Allora senti, Obi: per il casino che hai combinato te la vedrai con Grossman, a me non frega un cazzo. L’unica cosa che mi interessa è uscirne con meno danni possibile, e qui non possiamo stare».
«Perché, signore?»
«Perché tra poco gli animali verranno ad abbeverarsi al fiume, e dietro alle gazzelle arriveranno i predatori, che poi resteranno nei dintorni. Qui siamo completamente allo scoperto, forse un fuoco potrebbe tenerli lontani, ma basterebbe che fossimo sul passaggio di un pachiderma o che una mandria di bufali venisse spinta da questa parte che saremmo nei guai…»
L’ex mercenario si interruppe, vedendo che dopo essersi consultati due turisti venivano dalla loro parte.
«Come spiegavo al ragazzo», ripeté, «non possiamo restare qui per la notte, è troppo pericoloso».
«E dove dovremmo andare?»
A parlare era stato uno dei turisti più anziani.
Leonard si guardò intorno e indicò un punto in cui c’era una specie di massiccio montuoso formato da alcune rocce che si ergevano quasi verticalmente per una ventina di metri, al di là del fiume.
«Quelle rocce potrebbero andare bene», disse, «ci copriranno le spalle e tenendo acceso un fuoco tutta la notte avremo buone probabilità di tenere lontane le fiere».
«Ma saranno almeno tre chilometri!» esclamò il turista, «e c’è il fiume da attraversare!»
«Dica pure sei o sette, l’aria così limpida falsa le distanze».
«Non ci arriveremo mai prima di notte!»
«Sì se la smettiamo di discutere e ci muoviamo. Obi…»
«Sì, signore» rispose subito il ragazzo, ansioso di rendersi utile.
«Vai a tagliare alcuni tronchi diritti per fare una barella per Schneider».
«Subito!»
Il turista lo guardò allontanarsi.
«Cosa avrebbe fatto se si fosse rifiutato?»
Leonard battè una mano sul fucile, che non aveva mai abbandonato.
«Gli avrei piantato una pallottola in mezzo agli occhi: è sua la colpa di quello che è successo».
«Sta scherzando! E comunque noi non abbandoneremo la macchina!»
«Fate come volete: spiegherò la situazione ai vostri compagni e ognuno deciderà come vuole».

Mezz’ora dopo la barella era pronta. Due lunghi pali costituivano l’ossatura longitudinale e due più corti quella trasversale. Alcune cinghie, ricavate dalle cinture di sicurezza e dai sedili di pelle della macchina ne rappresentavano il fondo. Incerto su quanti uomini fossero disposti a darsi il cambio, Leonard aveva cercato di renderla il più leggera possibile, ma con il ferito sopra era comunque pesante da portare. Schneider si era svegliato e osservava la scena dalla sua posizione.
«Dunque» esordì Leonard, «non mi starò a ripetere perché non voglio perdere tempo. Noi stiamo per partire per raggiungere la posizione che ho indicata prima. Chi vuole venire con noi si decida adesso perché non torneremo indietro. Questo luogo è troppo aperto e pericoloso per trascorrerci la notte, ma non voglio costringere nessuno, Chi viene con noi sappia che dovrà obbedire ai miei ordini e, per quanto riguarda gli uomini, aiutare a trasportare Schneider che non può camminare».
«Non sono venuto qui per fare il facchino!» protestò uno dei turisti, lo stesso che era venuto a curiosare durante la medicazione del tedesco.
«Vorrebbe che lo lasciassimo qui?»
L’uomo si guardò intorno, in difficoltà.
«No, ma…»
«Le condizioni sono quelle che ho detto. Partiamo!» concluse Leonard, mettendosi il fucile a tracolla e prendendo le stanghe anteriori della barella. Obi la sollevò dal retro e cominciarono a scendere verso il fiume, mentre il sole era ormai basso sull’orizzonte.

I turisti li osservarono per qualche istante, indecisi, poi una donna si stacco dal gruppetto e si unì ai partenti. Uno dopo l’altro, scuotendo la testa, tutti si misero in fila.
Lasciata la jeep, il gruppo scese quasi perpendicolarmente verso il fiume, dirigendosi verso un punto dove la presenza di animali che lo attraversavano indicava che esisteva un guado. Leonard fermò i suoi compagni a un centinaio di metri dall’acqua, al riparo di un gigantesco baobab, si mise carponi e avanzò con la massima cautela. Giunto sulla riva senza incontrare ostacoli, chiamò con un gesto i suoi compagni, facendogli segno di non fare rumore.
Quando furono nuovamente riuniti spiegò la situazione:
«Il guado sembra essere libero, per il momento, ma dovremo attraversare il fiume il più rapidamente e il più silenziosamente possibile. Nell’acqua bassa non dovrebbero esserci coccodrilli, almeno, io non ne ho visti, ma anche se ci fossero non attaccherebbero un gruppo numeroso in un metro d’acqua. Ci sono alcuni ippopotami, ma sono distanti e non costituiscono un problema, ma ho visto un vecchio elefante che scorrazza sull’altra riva. Bisogna farci attenzione perché potrebbe essere pericoloso. Superato il fiume non dovremmo incontrare pericoli finché c’è luce».
Nessuno interruppe il discorso. I turisti, non abituati a intravedere i movimenti furtivi della savana, cercavano di identificare gli animali di cui aveva parlato l’ex mercenario, ma non riuscivano a vedere nulla.
Prima che cominciassero a dubitare delle sue parole, Leonard costrinse uno di loro a prendere il suo posto alla guida della barella ed entrò cautamente in acqua, il fucile spianato.
La superficie del fiume era immobile, qualsiasi forma di vita si era già allontanata. Nonostante gli uomini cercassero di muoversi in silenzio erano infinitamente più rumorosi degli abitanti della savana. A metà del guado videro comparire in lontananza le sagome semi sommerse degli ippopotami, ed un brivido percorse il gruppo: quegli animali, che potevano arrivare a pesare tre tonnellate, erano in grado di caricare a quaranta chilometri all’ora, e le loro mascelle potevano agevolmente tagliare in due un uomo. Ma erano lontani, e sembravano sonnecchiare pacificamente.
Con il cuore in gola, finalmente arrivarono a mettere piede sulla riva opposta, quando dalla boscaglia uscì un grande elefante.
Leonard fermò con un braccio i suoi compagni.
«Restate immobili», disse, «se quell’elefante non ha già avuto brutte esperienze con gli uomini si limiterà ad osservarci e andrà per la sua strada».
Il grande pachiderma sventolava nervosamente le orecchie e muoveva la proboscide sul terreno, dondolando il testone.
«E’ molto anziano», sussurrò Leonard «Probabilmente sente il nostro odore ma non riesce a vederci».
L’animale sembrava incerto se venire avanti verso il fiume o ritornare nella foresta, evidentemente disturbato dalla presenza degli estranei.
Improvvisamente uno dei turisti non resistette alla tensione, imbracciò il fucile, prese la mira e sparò al pachiderma, tutto in un attimo.
Leonard non aveva fatto in tempo a girarsi che lo sparo era già partito e nugoli di uccelli si erano levati in volo. L’elefante guardò verso il fiume, identificò da dove era partito il colpo e lanciò un tremendo barrito, alzando al cielo la proboscide.
Un attimo dopo si era lanciato alla carica, sei tonnellate di carne e muscoli corrazzati che facevano tremare il suolo.
Il panico prese il gruppo dei turisti, che corsero indietro verso il centro del fiume, lasciando cadere la barella.
L’unico a restare calmo fu Leonard, che uscì dall’acqua, piegò un ginocchio a terra e puntò il suo Gold Sable sul mostro che gli veniva incontro. Aveva due cartucce calibro .30 per fermarlo, ma sapeva che se voleva riuscirci doveva essere preciso, e non era facile con l’animale che caricava. Inoltre non voleva uccidere quel vecchio signore della savana, che avrebbe meritato di morire pacificamente nel suo cimitero.
Trecento metri, ducento metro, cento…