Perugia-Bari (1dicembre 1941)
“Mamma!”. Riesco a sussurrare solo questo. C’è chi canta le canzoni fasciste, chi guarda una foto tutta stropicciata, chi grida. Che frastuono! E poi il rumore del treno sulle rotaie, non lo sopporto! Che pace a casa, quando solo il gallo rompeva il silenzio dell’alba, che io e il babbo già eravamo giù per i campi. Che ansia, è freddo. Solo il tuo nome riesco a sussurrare, mamma! E mentre lo faccio, l’alito appanna il vetro della carrozza, mi sono messo nel posto più esterno, mi mancava l’aria. Ci hanno stipato come gli animali. Noi siamo i primi a partire, altri ne partono la prossima settimana.
A Perugia, oggi pomeriggio, prima di partire si è alzato un vento teso, quella tramontana che ti rimbambisce, ti riempie le orecchie di rumore e non ci capisci più niente. “Mamma!”, dicono che sarà una passeggiata. Boh, con il dito, rompo l’alone sul vetro e ci faccio una striscia. Non ho proprio fantasia. Prima mi sono alzato per andare in bagno, qui c’è pure il bagno!, ma me la sono tenuta, c’era un casino di gente davanti. Mica erano in fila, facevano i grossi, i gradassi, si lustravano le mostrine sulle spalle, io ho quelle, nude, che mi hai fatto tu e il babbo! Sono tornato a sedere. Sul giornale di questo che sta accanto a me, Franco mi sembra che si chiami, c’è una foto di uno sopra un carro armato, tutto fiero, tutto pompato, mi ha incuriosito. Dice che è un generale tedesco, Rommel, che venerdi scorso il 28 ha riportato una vittoria strategica a Tobruk in Africa. Figurati se è vero. Io non ci credo, chissà in tre giorni gli inglesi quante gliene avranno fatte. Fortuna che non stiamo andando lì.
Mi sono appisolato un attimo, c’ho il collo rotto, mi tira tutto su ‘sti sedili duri, ho gli occhi tutti appannati, ma a un certo punto mi sembra di vedere qualcosa di bianco fuori. Sarà la neve? Non so neanche dove siamo, però ci sono le montagne fuori, entriamo e usciamo da una galleria. No, mi sono sbagliato, è il riflesso della lucina sul vetro, o forse della luna. Vacci tu a capire. Non so neanche se c’è la luna fuori. Comunque è freddo, potrebbe aver nevicato sicuro, quassù sull’Appennino ce la fa spesso. Ieri, abbiamo marciato dalla caserma in centro fin giù alla stazione. E, su una curva, ho visto infondo le montagne. C’era la neve! Sì, sì. C’era la neve. Io mi sono girato, chissene frega se mi scoprivano, mentre marciamo come i soldatini da dietro si deve vedere un unico movimento, e se qualcuno sgarra! Uh che succede! La settimana scorsa, a uno di Gualdo, lo hanno messo in punizione due ore, perché era uscito a salutare una del suo paese, sfollati qui a Perugia dai parenti. Boh, comunque mi sembra strano. Dice che stare al paese è meglio che venire in città! Voi state lì, per carità. Con tutto quello che c’abbiamo, ci campate per anni!
“Fra mezz’ora siamo ad Ancona!”. Ecco, ora mi ricordo dove stiamo andando. Ancona. Lì prendiamo un altro treno. Sai vedrò il mare. Beh, forse lo sento e basta perché sarà notte. Ah ma domani lo vedo sicuro, dobbiamo viaggiare un giorno intero fino dalla parte di là. In Dalmazia. Che viaggi che mi fa fare ‘sta fanteria! Eppure con qualcuno ogni tanto ho parlato, sembra che facciamo a gara a chi riesce a raccontare meglio chi ha lasciato a casa: è la parola che tutti ripetono di più. Casa. Esattamente l’opposto di dove stiamo andando. Casa è dietro le nostre spalle. A ogni metro più lontana. Davanti a noi il mare.
D’un tratto uno stolzo, quasi improvviso, e uno strepitio di ferro che si propaga per tutta la carrozza che mi sveglia dal torpore in cui stavo ormai da tanti minuti. Siamo arrivati. Guardo fuori dal finestrino, con gli occhi ancora assonnati, mi sembra di vedere il mare, che bello, riesco a vedere delle luci là infondo… poi una facciona rugosa coperta da un cappello con la visiera a punta mi riporta con i piedi per terra…stavo guardando solo il buio. L’immaginazione che giochi ti può fare! Siamo ad Ancona…forse è quasi mezzanotte. Ho fame e devo andare in bagno! Dobbiamo scendere tutto quello che abbiamo e tutto quello che abbiamo è uno zainone zeppo di vestiti e di scatole di latta mezze arrugginite che ci hanno dato per mangiare.
L’altro treno sarà fra un po’! io approfitto per fare i miei bisogni e mi allontano al buio sul binario, con un sasso appuntito dentro lo scarpone, ma è tanta la voglia di svuotarmi che resisto. Beh quando raggiungo un posto solitario, tutto per me, finito tutto quello che devo fare, sento un fruscio da una siepe e, lenta, mi viene incontro un’ombra, come quando il babbo veniva da piccoli a darci la buonanotte, al buio. Una paura! Non ci puoi credere. Non pensavo che la morte arrivasse così in fretta. Ma era vestita da soldato e aveva la barba. E era maschio. La morte me la immagino almeno femminile. Niente. Tutto sotto controllo. Un altro figlio sperduto come me, con la casa alle spalle e il mare nel naso e nelle orecchie. Di sicuro anche lui a fare i suoi bisogni.
Mi giro e sul binario, una luce intermittente, illumina le teste di tutti i miei compagni, sembrano come tanti funghi, che sbucano dal nulla, chi si mangia qualcosa, chi si tiene la testa fra le mani e chi si è steso sul letto di fortuna, il suo zaino. Io mi accendo una sigaretta. Non mi fa fame, mangerò dopo. Mangerò. Sì lo farò. Non sono qui per mangiare. E poi stanotte, durante il viaggio, non voglio perdermi un secondo di mare, sono troppo eccitato al vederlo. Farò a meno di fissarmi sul rumore fastidioso delle ruote che sbattono in continuazione sui giunti dei binari. Andiamo a Bari. E poi si parte per di la. Sarà martedi, il babbo avrebbe detto che non porta bene. Speramo de no!