Abito in un piccolo paese, al quarto e ultimo piano di un palazzo che si affaccia sulla piazza della chiesa, al limitare del bosco, a due passi dal mare e a dieci minuti dalla città.
E’ un posticino tranquillo, senza pretese, con tutte le comodità a portata di mano.
Amo la natura e in modo particolare gli animali, porto loro rispetto e li tengo in grande considerazione.
Con la vita frenetica che faccio, ho deciso che non sia il caso di possederne uno, perché spesso sono fuori per lavoro e sono fermamente convinta che vadano curati e seguiti a dovere.
Tenendo in conto che mia figlia ha un cane e che in sua assenza spesso lo accudisco io, penso di dare il mio contributo al regno animale in maniera adeguata.
Tutto questo per chiarire che con gli animali ho sempre avuto un ottimo rapporto.
Naturalmente, come tutti, ho le mie regole e chi le infrange non va d’accordo con me.
Non sopporto gli abusivi, in particolare i piccioni che cercano rifugio ovunque, imbrattando ogni cosa con i loro escrementi.
In quel periodo erano la mia disperazione, sporcavano dappertutto, mi avevano rovinato la tenda da sole, buttato all’aria i vasi dei fiori e rischiavo ogni giorno di essere battezzata dai loro escrementi se mi affacciavo al balcone.
L’inizio della primavera era arrivato puntuale, la natura rispettò le regole e si risvegliò rigogliosa, i giardini e gli alberi si coprirono di fiori che profumavano l’aria con aromi delicati e deliziosi e iniziò la stagione degli accoppiamenti.
Quel giorno, mi sedetti sul poggiolo della cucina, sul quale avevo sistemato un tavolino e qualche sedia, vasi di gerani e alcune begonie per creare la mia piccola oasi e, mentre bevevo il caffè osservando una magnifica alba sul mare, stavo riflettendo a voce alta, come faccio spesso, da quando vivo sola:
«Quest’anno devo assolutamente risolvere il problema piccioni» dissi risoluta, «perché sono diventati un vero incubo!».
Quelle bestiacce, come ormai le definivo, non si accontentavano di sporcare, se non stavi attento, provavano a nidificare in qualsiasi angolo riparato dal vento e dalla pioggia.
A un’ora più adeguata, presi il telefono e chiamai Lorenzo, un caro amico.
È una persona squisita, ci conosciamo da almeno trent’anni e mi aiuta sempre volentieri.
Lo informai dei fatti e lo incaricai di risolvere la questione, prima possibile e scoprii che quello che io definivo problema, per lui sembrava essere una cosa da nulla.
Considerai che fosse una questione di punti di vista.
Finita la telefonata, mi diressi verso il poggiolo del salotto, preso di mira dai piccioni in questione.
Mi ero assentata per alcuni giorni per lavoro e l’avevano scelto come dimora ufficiale, stavano cercando di impossessarsene, come fosse stato un loro diritto e, come avevo scoperto quella mattina, avevano costruito un nido, tra il muro e l’armadio porta attrezzi, e dato alla luce un piccolo ancora implume.
Avevano imbrattato tutto, pavimento e armadio.
Osservai la famigliola indaffarata, i genitori indaffarati a nutrire il nuovo arrivato, ma non mi lasciai intenerire e, rivolta al piccolo, esclamai:
«Non voglio farti del male, cresci forte e sano, perché tra poco dovrete traslocare!».
Verso sera arrivò Lorenzo con due capienti borse piene del materiale necessario alla bonifica:
«Ho preso tutto quello che ho trovato in commercio: il repellente e, per ogni evenienza, anche queste liste di plastica con punteruoli, create apposta per allontanare i piccioni», disse con aria soddisfatta e competente.
Mi sorrise:
«Dai, su, fammi vedere, dove sono le bestie, risolviamo il problema».
Ero compiaciuta dalla sua puntuale disponibilità e dalla sicurezza e semplicità che mostrava nell’ affrontare la cosa e che, finalmente, l’avesse nominato “problema”.
Lo condussi sul poggiolo e Lorenzo diede un’occhiata.
Sobbalzò, tornò in casa, mi guardò con aria contrariata e, in tono accusatorio, mi urlò in faccia, faccendoni sussultare:
«Ah, no!»
«Non mi avevi detto che c’era un piccolo!»
«Io non voglio ammazzare nessuno!», puntualizzò con enfasi.
«Cosa urli», gli sussurrai mollandogli una vigorosa gomitata nei fianchi.
«I vicini penseranno che ti abbia appena commissionato un omicidio!».
Lui abbassò la voce ma fu irremovibile:
«Finché c’è il piccolo nel nido, io non tocco niente!».
«Ok, calmati, non avevo intenzione di fargli del male ma, appena uscirà dal nido, verrai qua e mi aiuterai a bonificare il tutto», gli ordinai contrariata ma risoluta.
Rimasi delusa.
Per fortuna, il piccolo crebbe in fretta e una mattina, quando andai per l’ennesima volta a controllare, trovai il nido vuoto.
I tre inquilini abusivi erano appollaiati sul cornicione del palazzo di fronte e mi stavano spiando con finta indifferenza.
«Ci siamo», pensai sollevata, ma, rimasi allibita, quando vidi sul fondo del nido un altro uovo appena deposto:
«Accidenti!».
«No, miei cari, la festa è finita, lo sfratto diventa esecutivo e da questo istante», esclamai irritata.
Presi l’uovo, distrussi il nido e buttai tutto nell’immondizia.
«Adesso, ci penso io a voi!», li minacciai guardando i volatili con palese risentimento.
Sembrava avessero un’aria di sfida che non mi piacque per niente.
«Volete la guerra?».
«E guerra sia!», dichiarai decisa e partii all’attacco.
Non avevo nessuna intenzione di aspettare Lorenzo con le sue crisi di coscienza, m’infilai un paio di vecchi jeans dall’aspetto veramente vissuto, li accompagnai con una maglietta logora e bucata e indossai un paio di spessi guanti da lavoro.
Presi una spatola dalla cassetta degli attrezzi, un sacco per l’immondizia, scopa, paletta, uno straccio e una bottiglia di varichina.
L’impresa non fu facile, lo ammetto.
Incominciai dall’armadio, poi m’inginocchiai sul pavimento e staccai poco alla volta gli schifosi escrementi.
Il sudore mi scendeva dalla fronte, mi colava negli occhi accecandomi e fui costretta a interrompere più volte il lavoro ma, non mollai.
Ero risoluta, continuai imperterrita fino alla fine e, due ore dopo circa, finii la prima parte del lavoro; raccolsi gli escrementi e li buttai in un sacchetto.
Poi, versai la candeggina, strofinai le macchie finché tutto non fu lindo e pulito.
Guardai con soddisfazione il risultato ma ero stanchissima, mi dolevano le spalle, la schiena e le ginocchia.
Mi sedetti su una sedia a riposare, riflettei e presi una decisione.
«Non posso aspettare Lorenzo, le bestie sono là di fronte che stanno aspettando di tornare, e non ho voglia, né tempo, né la forza di ricominciare da capo un’altra volta, devo risolvere adesso».
Considerai che l’effetto del repellente avrebbe avuto una durata temporanea mentre io volevo qualcosa di efficace e definitivo, quindi scelsi le asticelle con le punte.
Le tagliai di misura, presi il tubo di colla, indossai un paio di guanti in lattice, salii su una scala e incominciai dal tetto dell’armadio finché non incollai tutti i pezzi senza lasciare il minimo spazio agli intrusi.
«Vi preparo un bel letto da fachiro», pensavo lavorando imperterrita.
Compiaciuta del mio lavoro, sudata e stanca come non mai, riposi gli attrezzi e, dirigendosi verso la doccia, ammisi con me stessa:
«Sono stanca morta e forse, se sto parlando con gli animali come dicono facesse San Francesco, significa che devo essere impazzita».
«Una cosa è certa, vivere, senza non uno straccio di uomo accanto, è davvero complicato, difficile e faticoso!».
Anche se i miei amici mi offrono sempre il loro paziente aiuto e sono disponibili per risolvere anche il più insolito tra miei problemi, spesso mi devo arrangiare.
L’operazione di bonifica ebbe successo, i piccioni scomparvero ed io ero pronta ad affrontare, con fiducia e pazienza, i successivi ostacoli, che la vita si diverte a mettere sul mio cammino, spesso e volentieri.
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