La bruma del mattino si stava dissolvendo e la grande struttura metallica illuminata di arancione sembrava sorgere come un fantastico castello sul gelido mare invernale.

Uno stormo di gabbiani le volava intorno, come a volerle rendere omaggio, e le loro stridule grida riempivano l’aria.

«Com’è bella!»

A parlare così era stato uno dei quattro grandi carri ponte di Calata Sanità, in uno dei rari momenti di pace che segnavano il cambio di turno degli uomini addetti alle gru.

Sotto di loro una enorme portacontainer aspettava che riprendessero le operazioni, mentre altre navi attendevano pazientemente appena fuori dal porto. L’attività non si fermava mai, a parte quei brevi momenti e quando il vento ululava con tale forza da rendere pericolose le operazioni, ma le mancine del porto non si stancavano, nelle loro metalliche vene scorreva l’energia fornita dalla vicina centrale a carbone che appestava la città, e il lavoro non gli dispiaceva.

La sua compagna assentì impercettibilmente – appena una vibrazione sui tralicci – ma la terza non era completamente d’accordo.

«A me piacciono più le grandi navi da crociera della MSC. Guarda come sono imponenti, bianche, pulite! Ne sta per arrivare proprio una adesso!» disse.

In effetti in porto stava entrando in quel momento una delle immense navi da crociera che giravano per il Mediterraneo, autentiche città galleggianti in grado di ospitare più di seimila persone.

«Si», ribatté la prima, «ma tu pensa alla vita che fanno: sempre a girare sulle stesse brevi rotte, mentre quella nave che fa ricerche petrolifere lì fuori, la Saipem 10000, gira il mondo continuamente. Mi ha raccontato che ne viene dal Mozambico, ma prima è stata in Australia, e prima ancora al largo delle coste sudamericane.»

Le gru rimasero in silenzio, soppesando le parole. Non erano solite fare conversazione, quanto piuttosto scambiarsi impressioni, pensieri, riflessioni su quello che vedevano o che sentivano. Erano lì da decine di anni e ci sarebbero rimaste finché non fosse arrivata una nuova generazione di macchinari a sostituirle, ma loro questo non lo pensavano, non avevano la cognizione del tempo che passa, quindi erano eterne.

«Tra poco se ne andrà», rifletté un’altra, «sta facendo la messa a punto dopo le operazioni di cantiere.

«Che strano pensare a qualcuno che va in giro per il mare, invece di rimanere su queste solide banchine di cemento!”.

«Che importa? Il mare è sempre il mare, l’aria è l’aria. Il sole, la pioggia, sono uguali ovunque. Ognuno di noi vive dove è nato ed è giusto così.»

«Ma gli uomini spesso non cercano altro che di cambiare, sperando di trovare chissà che cosa», obiettò la quarta gru, che era rimasta in silenzio fino a quel momento.

«Gli uomini sono come api impazzite: girano, girano ma poi ritornano sempre all’alveare stanchi e disillusi.»

Il silenzio scese ancora sul mattino che stava avanzando. Gli addetti entrarono negli ascensori che li avrebbero portati in cima ai carri ponte per dare il cambio ai colleghi e le cabine si mossero cigolando.

Le grandi gru continuarono a guardare la nave che faceva i suoi movimenti poco oltre il porto.

Presto avrebbe spento le luci di segnalazione e avrebbe cominciato a muoversi. Le sue macchine avrebbero arato il fondo e smosso il nutrimento che avrebbe richiamato i pesci, ed anche i gabbiani avrebbero banchettato.

La vita continuava.