Tornando verso Parigi Augustin si era chiesto più volte come avrebbe fatto ad introdursi nella cerchia di artisti boehmien che facevano vita a parte rispetto ai borghesi della Ville Lumiére ed erano tollerati dalle autorità, sempre che non esagerassero, ovviamente. Ii ricordo dei tragici giorni della Comune era ancora ben vivo, e cosa c’era di meglio di avere una élite di artisti additata ma segretamente invidiata dai cittadini? Una utilissima valvola di sfogo, ma anche un ambiente ristretto da poter controllare, perché era sicuramente meglio che anarchici e rivoluzionari si concentrassero in un quartiere piuttosto che andarli a cercare per tutta la città. Su questo Augustin ha raccolto informazioni precise ed attendibili, quindi sa dove dirigersi, ma ciò non significa che non ci siano altri problemi.
Mentre cammina sotto un cielo plumbeo, ma finalmente avaro di pioggia o neve, Augustin elenca mentalmente le difficoltà che si aspettava dall’inizio di dover superare: innanzitutto la diffidenza di quei personaggi, tanto abituati a complottare da aver fatto della segretezza un modo di vita. Nonostante questo, i movimenti rivoluzionari erano infiltrati da agenti di tutte le nazionalità e organizzazioni, cosa che solo i membri sembravano ignorare, ma alla fine si tratta di muoversi tra rivoluzionari veri, per lo più incompetenti, e rivoluzionari finti che invece competenti lo sono fin troppo. Due categorie che separate sono relativamente innocue, ma che miscelate rischiano di diventare esplosive.

Non è lontano il 52 di boulevard de Clichy. Augustin si ferma davanti al portone e lo apre spingendo il battente, sale le scale fino al piano e bussa secondo il codice convenuto, ma la porta non si apre. Senza tradire impazienza, riprova una seconda volta, ma anche questa senza risultato, allora si guarda in giro e resta alcuni istanti in silenzio per sentire se sta sopraggiungendo qualcuno, quindi, rassicurato, estrae di tasca un piccolo grimaldello e in pochi secondi fa scattare la serratura. Non ci sono giri, solo la cricca, brutto segno. Augustin rimane immobile, conta fino a cinquanta, poi apre lentamente la porta e scivola dentro. Le stanze sono buie, sembra che non ci sia nessuno, ma l’odore dolciastro, metallico, nell’aria è inconfondibile. Non può muoversi nel buio più completo, quindi si arrischia ad accendere uno zolfanello, poi un altro, e alla luce di questo vede il corpo riverso a terra in un lago di sangue. Non ci mette molto a capire quello che è successo, la gola dell’uomo presenta un profondo taglio, e il sangue ha colorato di rosso la camicia. Il monocolo giace a terra, a mezzo metro dal cadavere. Augustin si china, il corpo è freddo, i muscoli sono rigidi, segno che il decesso è avvenuto da ore. Si rialza, accende un altro fiammifero e si guarda in giro: l’appartamento non sembra in disordine, anche se questo non esclude che l’assassino abbia rimesso a posto. Ma no, scuote la testa, non è possibile: chi ha ucciso Klaus doveva avere fretta, non è pensabile che si sia messo a perdere tempo per cancellare le tracce di una ricerca. L’omicida è venuto solo per quello.
Con cautela, ritorna sui suoi passi, riapre la porta, esce e ritorna in strada, accertandosi che nessuno l’abbia visto. Il primo impulso sarebbe quello di allontanarsi il più possibile da lì, lasciare Parigi il giorno stesso, ma deve riflettere, ed è meglio farlo lontano da Montmartre.
Il marciapiede è sgombro: rari passanti procedono assorti nei propri pensieri. Si mette a camminare con calma in direzione del centro città e intanto riflette: è possibile che chi ha ucciso Klaus abbia organizzato un appostamento? In questo caso è stato visto e probabilmente adesso è seguito. Deve accertarsene. Oltrepassando una via laterale nota un portone aperto. Fa ancora qualche metro, poi si volta all’improvviso, come se avesse dimenticato qualcosa, svolta nella via e s’infila nel portone. Se ricorda bene la maggior parte di quei vecchi palazzi ha un’uscita secondaria. Dopo una rapida ricognizione la individua, apre il portoncino e lo richiude rumorosamente, poi si accoccola in un sottoscala e aspetta. Passano un paio di minuti e sente uno scalpiccio. Voci di due uomini.
«L’hai visto?»
«No. Deve essere passato di qui!»
«Ho dovuto fare tutto il giro del palazzo, potrebbe benissimo essersi infilato in un vicolo prima che arrivassi.»
«Dovevamo fermarlo prima!»
«No, gli ordini erano precisi, lo sai: dovevamo vedere dove ci portava.»
«Così adesso non solo non sappiamo dove ci porta, ma non abbiamo neanche lui! Sai il capo come si incazza!»
«È stato lui a decidere così.»
«Dirà che ci siamo fatti individuare!»
«Può dire quello che vuole: io ero dove mi hanno detto e tu anche.»
L’uomo tace alcuni istanti.
«Già» dice poi, «torniamo alla base e speriamo bene.»
Rumore di passi che si allontanano. Augustin non si muove: se quelli sperano che fingendo di andare via riescano a farlo uscire dal suo nascondiglio sono degli illusi. Intanto riflette: hanno parlato di una base, se fossero stati del Deuxième Bureau non l’avrebbero chiamata così. Nonostante questo, si sono mossi con sicurezza, quindi devono far parte di una organizzazione, qualche servizio segreto. Il fatto che parlassero un francese senza accenti, invece, non significa nulla.

È notte quando Augustin decide di lasciare il suo rifugio. Per precauzione aspetta che una coppia scenda le scale e li segue, lasciando il portone come se facessero parte di uno stesso gruppo, ma fuori non c’è nessuno. Fa un paio di manovre diversive, si ferma all’improvviso di fronte alla vetrina di un hotel, come se fosse indeciso se entrare, ritorna indietro per un pezzo di strada, ma sembra proprio che i suoi pedinatori abbiano rinunciato. Arrivato a Ile de la Cité si spoglia a malincuore del suo cappotto di cotone cerato che si era messo per ripararsi da un eventuale acquazzone e fa qualche decina di metri tenendolo sul braccio, quindi lo lascia su una panchina, insieme al cappello. Così è sicuro di non poter essere riconosciuto neanche per caso, e si dirige verso la Rotonde.

L’interno del locale è tale e quale l’aveva lasciato: alcuni avventori stanno discutendo ad alta voce su Charlie Chaplin, altri litigano per un giro di carte. Modigliani parla ad alta voce, è alticcio ma non ubriaco, e sorride. Augustin va al bancone. Il barista lo vede e si avvicina.
«Un bicchiere di rosso» ordina, poi ci ripensa, «no, un cognac, e un caffè,»
Il barista si volta per preparare l’ordinazione,
«Prego» dice, posando un bicchiere e la tazzina sul banco. Augustin beve un sorso di cognac, poi il caffè caldo, tutto d’un fiato, quindi finisce il cognac. È soprappensiero, sta cercando di riordinare le idee su quello che è successo e sulle prossime mosse. Klaus si è tradito o dava fastidio a qualcuno? Chi può avere ordinato la sua esecuzione?