Una sensazione strana. Lenzuola. Qualcosa di caldo e morbido vicino. Profumato. Un corpo di donna.
«Ehi, ti sei svegliato, finalmente!».
Augustin si stropiccia gli occhi, si gratta la testa, sbadiglia rumorosamente e infine si guarda intorno.
Sopra di lui, a pochi centimetri dal suo volto, c’è una donna che lo guarda. Nuda. O almeno, la parte superiore del corpo è nuda. In bocca ha il gusto acido del vino.
«Io… dove sono?» chiede.
La donna fa una smorfietta, ma è solo un atteggiamento: «Diamine, ti sei preso la sbronza più lunga che abbia mai visto! E sì che io…».
«No, no…». Augustin scuote energicamente la testa, «la mia è una malattia: mi capita di addormentarmi all’improvviso, a volte per minuti, altre per ore…». Si interrompe, pensieroso. «Ma ho dormito per tutta la notte, dici? Non mi era mai capitato».
«Oh, poverino!» esclama la donna rialzandosi e mostrando un seno generoso senza alcuna vergogna.

Augustin a quella vista sente una vigorosa reazione nelle sue parti basse, e realizza che anche lui deve essere nudo. Lei se ne accorge, e ride.
«Allora la povera Jeanne lo fa rizzare ancora a qualcuno!» dice, battendo la mano sulla protuberanza sotto il lenzuolo.
«Noi… noi… l’abbiamo…?».
«Fatto? No, a meno che Sylvie…».
«Mio dio!». Augustin arrossisce violentemente. Il suo sguardo va alla pelle nuda di Jeanne. Spia la presenza di macchie rosate, indice di mal napolitain, ma non ne vede traccia. Sospira, e la donna lo prende per una manifestazione di imbarazzo.
«Ma come sei timido! Mi stupisco che tu frequenti quei puttanieri dei tuoi amici!»
«Per dire la verità sono appena arrivato a Parigi…»
«Sei vergine, allora! Di questa 𝑡𝑟𝑜𝑖𝑎 di città, intendo». Altra risata. «E cosa sei venuto a fare a Parigi?»
«Io… ho sentito che qui ci sono i più grandi artisti del mondo. Vorrei imparare…»
Jeanne scuote la testa: «Artisti del bere e del morire di fame, certamente! Ma per il resto…»
Si china su Augustin, come se volesse sussurrarglii una confidenza: «Lasciatelo dire da una che se ne intende: qui troverai gente allegra nonostante sia morta di fame, sempre in movimento e capace di dipingere qualsiasi cosa, specie se femmina e nuda, ma mi prenda un colpo se tra dieci anni ci sarà qualcuno che si ricorda di loro!»

La donna si alza dal letto, mostrando che è completamente nuda, e comincia a volteggiare per la stanza.
«Sei una ballerina?»
«Ballerina, modella, attrice, anche puttana. Tutto meno che pittrice. O scultrice, come la mia amica Camille.»
Augustinha un brivido e si raddrizza sul letto. «Camille?»
«Camille Claudel. La conosci?»
«Io… sì, certo. Non è l’amante di quello scultore, Rodin?»
«L’amante di Rodin? Si vede che vuoi uomini siete capaci solo di ragionare con l’uccello! Ma l’hai vista L’𝐴̂𝑔𝑒 𝑚𝑢̂𝑟? La forza di quel gruppo che rappresenta in maniera allegorica il destino umano? La diagonale che collega il corpo della giovane supplicante alla mano dell’uomo e alle vesti della vecchia? La…».
Augustin mette una mano sulla bocca della donna per fermare il fiume di parole. Lei la prende e la bacia.
«Non parli come una puttana, Jeanne, e neanche come una dattilografa che fa la modella.»
Jeanne si stacca bruscamente: «Cosa ne vuoi sapere tu che…». Poi si mette a piangere silenziosamente.

Augustin si alza, le cinge le spalle e la riaccompagna nel letto.
«Sai, Jeanne» dice, «ho letto la storia di Rodin e Camille Claudel. È vero, di lui puoi pensare e dire tutto il male che vuoi, a cominciare dal fatto che ha sedotto una ragazza con venticinque anni di meno e poi l’ha lasciata, ma non è stato il rimorso per la moglie o un ripensamento a provocare questa decisione così funesta per la povera Camille, ma l’invidia: lui era un uomo, un artista del passato e lei l’aveva travolto con l’irruenza del suo talento artistico. Se non fosse uscita distrutta da quella storia, se avesse avuto le commesse e i soldi per continuare, avrebbe oscurato la sua fama come il sole con la luna, e lui lo sapeva.»

Jeanne sospira e sfiora con le dita le labbra dell’uomo: «Se sapessi dipingere come parlare…Credi che non lo sappia? È per questo che ti ho detto che non voglio essere pittrice e tanto meno scultrice: non c’è spazio per le donne nella sfolgorante 𝑉𝑖𝑙𝑙𝑒 𝐿𝑢𝑚𝑖𝑒́𝑟𝑒 come nel resto del mondo. Dobbiamo stare al nostro posto, sguattere, ballerine, puttane, altrimenti la società ci distruggerà.»
«Non è sempre così: Louise Michel…» si lascia sfuggire. È un attimo, si morderebbe la lingua, ma ormai è troppo tardi.
«Sai anche di lei? Ma tu chi sei?» chiede Jeanne stupita.
«Il mio nome è Augustin, e sono solo un povero artista di provincia che vorrebbe imparare da dei veri maestri…»
Jeanne solleva le sopracciglia, che si uniscono in una V perfetta sopra gli occhi, come ali di un gabbiano.
«Non raccontarmi bugie, 𝑚𝑜𝑛 𝑎𝑚𝑜𝑢𝑟, non alla povera, vecchia, ignorante Jeanne!»
«Tu non sei né vecchia né ignorante, Jeanne, e quanto al povera…».
Lei gli prende le mani e se le porta sul petto. I capezzoli si sono inturgiditi al contatto con il freddo dei palmi: «Basta parlare. Poi mi racconterai di Louise Michel e del suo viaggio all’inferno, e di Victor Hugo e di Jiulius Verne e di chi vorrai, ma…. 𝑣𝑜𝑢𝑙𝑜𝑛𝑠-𝑛𝑜𝑢𝑠 𝑓𝑎𝑖𝑟𝑒 𝑙’𝑎𝑚𝑜𝑢𝑟 𝑎𝑙𝑜𝑟𝑠?»

Augustin non ha il tempo di ribattere, perché Jeanne gli è montata a cavalcioni ed è sprofondata dentro di lui, muovendosi come un ussaro sulla sua sella. Un’ondata calda lo avvolge e lui risponde con entusiasmo, finché l’orgasmo, a lungo trattenuto, non li raggiunge entrambi.
Ricadono ansanti e sudati sul materasso, proprio un momento prima che Max Jacobs apra la porta e scoppi in una risata, guadagnandosi un’occhiataccia dalla donna.
«Non ci fare caso» dice, rivolta al suo amante, «lui fa sempre così». Ma Augustin si è di nuovo addormentato.