Louise Michel. Chi era Louise Michel?
Augustin si risvegliò e con la mano cercò a tastoni nel letto, ma non trovò il corpo caldo e nudo di Jeanne. Nella stanza faceva freddo, nonostante la pesante coperta che aveva addosso. Con un grugnito si voltò sul fianco destro e mise la testa sotto alle lenzuola, che non erano – ora se ne accorgeva – propriamente pulite. Louise Michel. Lentamente un volto si fece strada nella sua mente, e poi un ricordo, una nave, un altro tempo, forse un’altra vita. Lui… lui era…

Una lunga striscia di sabbia, subito seguita dalla vegetazione brulla che si arrampicava sulle colline. Il panorama interrotto da una piccola chiesa e da alcune grosse costruzioni – dormitori per i deportati – e sullo sfondo una striscia di nuvole scure che sembravano sospese sopra un cielo limpidissimo.
Lo donna batté una mano sulla spalla dell’uomo che continuava a guardare la costa senza parlare.
«Vedi, Henri, ci avevano promesso l’inferno e ci hanno mandato in paradiso!».
«Sono gli uomini a fabbricare l’inferno» le fece eco Nathalie Lernel, in piedi vicino a lei, le mani strette sul corrimano della Virginie che continuava ad avvicinarsi al piccolo porto di Noumea.
«Non ti preoccupare che ci penseranno loro a crearlo per noi, l’inferno» disse Henry Rochefort, sempre più cupo, «dubito che ci lasceranno nella capitale. Ho sentito dire che i bagnards li mandano nell’interno».
La nave girò lo sperone di roccia che proteggeva il porto e apparvero i rozzi fabbricati in cui dovevano essere alloggiati i prigionieri. Un cupo senso di desolazione strinse il cuore di tutti, ma Louise Michel serrò i denti, come aveva già fatto tante volte nella vita.
«Se ci sono tanti alloggi ci saranno molte persone, e dove ci sono tante persone ci sono cuori coraggiosi e menti aperte» disse.
«Mia cara Louise» ribatté in tono triste Rochefort, «non credo che troverai dei comunardi qui, a parte noi. Penso che saranno perlopiù ladri e assassini che la nostra madrepatria voleva togliersi dai piedi in maniera pulita».
«Ebbene, non abbiamo sempre detto che è la società a fare di un uomo un malvivente? Hai rinunciato ai tuoi ideali, adesso?».
Louise Michel si era espressa con una foga che non ritrovava da tempo, e sollevò l’attenzione di altri deportati che la guardarono con curiosità. Lei gli rivolse un sorriso e poi tornò ai suoi compagni.
«Le catene che portano sono uguali alle nostre» disse, sollevando i polsi e mostrando i ferri, «perché non dovremmo riuscire a convincerli?».
«Perlomeno questi ce li leveranno» rispose Nathalie Lerner, «non vedo come si possa fuggire da quest’isola».
Un lampo passò negli occhi di Rochefort, ma svanì subito.
«Non rimarrò a lungo qui» disse, «se non riuscirò a scappare vorrà dire che morirò in questo mare».
L’acqua sotto l’imbarcazione era limpida come cristallo, ben diversa dalla putredine oleosa del porto di Marsiglia.
Henri aveva parlato in tono quieto, come rivolgendosi a sé stesso. Louise lo guardò un istante, poi la sua attenzione ritornò a un gruppetto di piccoli uomini dalla pelle scura che osservavano la nave al riparo da fitti cespugli appuntiti e che sparirono non appena si accorsero di essere stati avvistati.
«Selvaggi!» esclamò un marinaio vicino a loro.
Louise si voltò verso di lui con il fuoco negli occhi. I capelli scuri, ispessiti dalla salsedine e diventati stopposi a causa della scarsa acqua disponibile le incorniciavano il volto deciso, su cui spiccava il naso aquilino sotto l’ampia fronte.
«Probabilmente questi selvaggi conoscono la libertà molto meglio di noi!» disse.
Il marinaio tentò di ribattere, ma era inchiodato dallo sguardo fermo della donna e rinunciò. Accennò ad un goffo gesto di saluto e sparì lungo la coperta.
«Sei sempre la stessa!» rise Nathalie, in uno dei pochi lampi di gioia di quei giorni.
«Non vedo perché l’uguaglianza debba cessare appena fuori dalle porte di Parigi!»
Intanto la nave stava entrando nel porto. Sul molo alcuni gendarmi in tenuta coloniale la stavano aspettando annoiati. I prigionieri furono portati tutti in coperta, messi in catene e preparati per lo sbarco. Mentre scendeva la passerella di legno senza ringhiera che portava a terra, attenta a non inciampare per i ferri che portava alle caviglie, Louise Michel lanciò ancora uno sguardo alla collina su cui aveva intravisto i canachi, e scorse un paio di teste apparire e sparire tra le foglie. A quella vista non riuscì a trattenere un sorriso, che fu più forte del dolore che gli procuravano i ferri sulle giunture escoriate.
«Anche qui avrò qualcosa da fare» disse, e mise per la prima volta piede sul suolo della Nuova Caledonia.

Henry Rochefort, pensò Augustin nel dormiveglia. Sono Henry Rochefort? Lo sono stato? O ero forse uno di quei miserabili forzati sbarcati con Louise a Noumea? E come ho fatto a tornare indietro? O forse sto già sognando, o sogno di sognare, e Louise Michel non è mai esistita e Parigi è un misero villaggio sulle rive di un grande fiume? O forse…