Chi sei veramente, Augustin?
Già. Chi sono veramente? Povera piccola Alice, e se io non mi chiamassi veramente così? Se fossi semplicemente un artista venuto a Parigi per trovare la sua strada? Venuto, partito e tornato, per dire la verità. Il fatto è che io non ho la grandezza di Pablo o di Maurice, ma neanche di Dedo, di cui a quanto pare sono uno dei pochi a riconoscere il genio, ma è possibile che nella Ville Lumière, così sfavillante di luci, non ci sia un angolo, un palcoscenico, un posticino anche per me?
Sono patetico, lo so, ma non posso entrare a Le Rotonde, dove qualcuno potrebbe riconoscermi. Io sono Augustin, l’uomo ombra, quello che ha sempre una mano da dare, una buona parola da sussurrare all’orecchio, per tutti tranne che per sΓ©.
In veritΓ  Montparnasse oggi mi sta stretta: troppi ricordi, troppa gente che conosco, troppa vita. In questo periodo preferisco girare per Montmartre, dove Γ¨ piΓΉ difficile incontrare gruppi chiassosi, dove gli artisti si limitano alla loro arte. E a bere, naturalmente.
Ma chi Γ¨ quell’uomo curvo che mi viene incontro, scendendo dal Sacre-Coeur? Possibile che sia proprio lui?
Possibile.
Β«Ehi!Β».
La voce Γ¨ forte, tutto il contrario del suo aspetto di uomo di quarant’anni che ne dimostra almeno venti di piΓΉ. Cammina ondeggiando, segno che anche stasera non ha voluto far torto al suo soprannome. Ha le guance cascanti, un occhio semichiuso, i capelli scompigliati. Ma Γ¨ un genio.
Β«Ehi!Β» ripete, Β«ma tu non sei…» (perdonatemi, glisso sul mio nome).
Β«Hola Maurice!Β» lo saluto, sapendo giΓ  che storcerΓ  il naso a sentire lo spagnolo, Β«come ti va?Β».
Β«Di merda!Β» risponde (e figurati se diceva qualcosa di diverso).
Β«Cosa ti succede?Β» gli chiedo, facendo fede a quello che ho scritto qualche riga sopra.
Lui bestemmia, sputa un catarro giallastro sul selciato, poi scuote la testa.
Β«Quando il mio amico ModΓ¬ ha fatto la carognata di morire, io ero giΓ  famoso: avevo dipinto la mia Place de Abbesses sous la neige, ero in quello che i critici hanno chiamato Periodo Bianco e che, dicono, Γ¨ stata la base della mia affermazione come pittore, visto che come bevitori e libertini io, Dedo, Utter e tanti altri eravamo noti in tutta Montparnasse, anche se avevamo talenti artistici diversi: l’italiano amava il vino, AndrΓ© inalava etere e io non avevo dimenticato la mia antica passione per il cognac, sia benedetta mia nonna!Β».
Prende fiato e fa un rutto, espellendo un alito tanto carico di alcol da farmi indietreggiare, poi riprende: Β«Ma ci accomunava l’assenzio, per Dio!, e se io coloravo, bestemmiavo, mi sporcavo e accarezzavo le tele, Modi dipingeva le sue strane affascinanti donne dal lungo collo, mia madre tentava senza successo di emendarmi dal vizio del bere e quel gran bastardo di Utter si improvvisava mio manager e ci faceva diventare ricchi, io e mia madre, intendoΒ».
π΅π‘’π‘Žπ‘‘π‘– π‘£π‘œπ‘–, penso, ma subito dopo mi vergogno.
Β«Come ho giΓ  detto, l’italiano era mortoΒ» continua, Β«e un anno prima ci aveva lasciato anche Renoir: potevo io sopravvivere a due artisti cosΓ¬ grandi? Purtroppo o forse per fortuna sì».
Si siede per terra, incurante del fatto che Γ¨ bagnato. Mi accoccolo vicino a lui: come resistere alla grandezza tragica di quell’uomo? Lui tira fuori da una tasca interna del cappotto una bottiglia di un liquido ambrato, cognac, immagino, e me la porge. Io esito un attimo, poi, quando si china per tossire ancora, pulisco di nascosto l’imboccatura e ne bevo un lungo sorso. Brucia, sembra fuoco, ma scalda. Me bevo un’altra sorsata e gliela restituisco. Lui ci si attacca e la scola, poi posa la bottiglia sul bordo di un muretto, in equilibrio precario. Io la guardo. Lui equivoca e mi rassicura: Β«Tranquillo, ne ho qui un’altra!Β». Ridiamo.
Β«Tu sei uno dei pochi che mi capiscono, (omissis), gli altri hanno preso strade diverse e c’è un nugolo di π‘Žπ‘Ÿπ‘‘π‘–π‘ π‘‘π‘’π‘π‘œπ‘™π‘– (lo dice con disprezzo, storcendo la bocca) che mi stanno imitando, non perchΓ© siano portati alla mia visione, ma perchΓ© sperano di tirare su qualche franco seguendo la moda, e cosΓ¬ facendo stanno distruggendo quel poco che resta di autentico a Montmartre!Β».
Annuisco. Avevo notato anch’io la cosa.
«Cosa ci vuoi fare, Maurice» gli dico, «i grandi uomini fanno grandi cose, ma i piccoli non riescono a farne che di minuscole. Le mode vanno e vengono. E anche questa passerà, ma farà più grande la tua fama». È un discorso da ruffiano, ma come spiegargli che anche loro devono mangiare?
𝐸 π‘Žπ‘›π‘β„Žπ‘’ π‘™π‘Ž π‘‘π‘’π‘Ž π‘™π‘’π‘”π‘”π‘’π‘›π‘‘π‘Ž 𝑑𝑖 π‘π‘’π‘£π‘–π‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘’. penso, π‘£π‘–π‘ π‘‘π‘œ π‘β„Žπ‘’ 𝑔𝑙𝑖 π‘–π‘šπ‘–π‘‘π‘Žπ‘‘π‘œπ‘Ÿπ‘– π‘›π‘œπ‘› π‘‘π‘–π‘ π‘‘π‘’π‘”π‘›π‘Žπ‘›π‘œ 𝑑𝑖 π‘ π‘’π‘”π‘’π‘–π‘Ÿπ‘’ π‘Žπ‘›π‘β„Žπ‘’ π‘žπ‘’π‘’π‘™π‘™π‘Ž π‘ π‘‘π‘Ÿπ‘Žπ‘‘π‘Ž. Ma non lo dico, tanto lui Γ¨ ripartito per la tangente.
Β«La mia storia Γ¨ la storia del mio vero amore, Parigi come era, come l’ho rappresentata nei miei quadriΒ» declama, Β«non la Parigi di inizio secolo, ma quella prima di Haussmann, quella delle cartoline, quella del mio Giardino di Renoir dove il SacrΓ©-Coeur si staglia sul cielo azzurro grigio di una campagna ora divorata dalla cittΓ  famelica. Ma sono ubriaco, e la sobrietΓ  non mi si addice, checchΓ© ne dica Suzanne. Non posso brindare con i morti, lo farΓ² con la loro memoria, e che vita e tristezza vadano al Diavolo, se mai esiste! Solo la mia arte Γ¨ la mia storiaΒ».
Amen. Lo aiuto a rialzarsi. Lo accompagnerei a casa, ma lui si vuole dirigere verso il basso, verso la cittΓ , verso nuove bevute, forse. Ma che importa? Lui ha il suo genio con sΓ©, e quello lo accompagnerΓ  fino alla tomba. Ha anche una madre – e che madre Γ¨ Suzanne! Certo, ha anche la malattia, e una maledizione che si porta dietro, ma Γ¨ famoso e ricco, cosa puΓ² volere di piΓΉ dalla vita?
Incespico, ho bevuto anch’io, e non sono abituato come lui. Io cosa ho? Una mano insicura, cinque lingue nella testa, la fame nel mio bagaglio e la disgrazia di essere nato ebreo!
Scuoto la testa, mi appoggio ad un muro lordo e rido, suscitando il disprezzo di una coppia di anziani borghesi che passano e mi guardano di traverso. No, io ho anche la fortuna di avere dei grandi amici, anzi, degli amici π‘”π‘Ÿπ‘Žπ‘›π‘‘π‘–: Maurici, Pablo, Dedo, Chagall, Leger… Se non riuscirΓ² a diventare grande anch’io vivrΓ² della loro gloria riflessa. Ma non ho perso del tutto le speranze.