Capitolo sesto

A casa Caterina, circondata da famiglia e amici, si riprese un pochino. Dopo un intervento chirurgico all’ospedale di Sestri Levante per quella fistola che non voleva guarire, ricominciò a vivere.
Certo non più lunghe passeggiate, niente banjo per il dolore alle mani, eliminate le scarpe con i tacchi per i dolori ai piedi.
C’erano però le visite di Marisa con la piccola Tiziana che cominciava a sgambettare ed era una gioia per tutti.
Giuseppe poi la portava a fare gite in macchina, le amiche le tenevano compagnia.
Un professore di Milano che in reumatologia aveva fama di essere il migliore prescrisse una nuova cura e il divieto di prendere il sole e fare bagni di mare.
Caterina che era un incrocio fra una lucertola e un pesce, cadde nello sconforto e si rifiutò di accettare quell’imposizione: continuò ad andare al mare anche se non fece più lunghe nuotate, tuffi e immersioni con la maschera.
L’artrite è una malattia nella quale si alternano periodi di remissione e altri di poussée in cui si soffre di più.
Visto che stava un po’ meglio Caterina riprese il lavoro a Genova anche se faceva fatica ma lentamente si abituava ai nuovi ritmi e a convivere con il dolore.
Ma la notte spesso sognava di correre, saltare, muoversi senza sentire male.
Intanto papà Vittorio andò in pensione e visto che Nino e Caterina lavoravano a Genova, anche Giuseppe ormai viveva lì, alla casa dello studente, i Nicolini decisero di lasciare Sestri e trasferirsi in città.
Per Caterina fu difficile staccarsi dalle amiche, promisero di scriversi e di incontrarsi il più possibile.
Chi soffrì più di tutti fu mamma Franca; abituata alla vita di paese, alle tante amiche, alla sua bella casa: cadde in depressione!
Ne venne fuori quando cominciò ad occuparsi di una chiesetta vicino alla nuova casa dove c’erano due sacerdoti diversi tra di loro ma formidabili per il loro impegno.
Uno Don Federico, prete operaio, riservato, timido, onesto e paziente. L’altro Don Gallo, una forza della natura, ribelle alle ingiustizie della chiesa ufficiale, ospitava tutti i disperati che trovava per strada: prostitute, tossici, malati di mente.
E così mamma Franca dopo aver pulito la chiesa, cucinava per loro, ospitava in casa chi voleva allontanarsi un po’ da quella baraonda che regnava nella comunità.
I figli che, o per lavoro o per divertimento , stavano spesso fuori casa erano un po’ preoccupati per quel via vai ma Franca e Vittorio erano contenti così: a sessanta anni avevano saputo ricostruirsi una nuova vita.

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Wendy, dopo una bella dormita, andò alla brasserie vicina per il petit déjeuner non senza essersi rifornita di un giornale.
Aveva optato per Le Figaro e dopo una breve occhiata ai titoli (si parlava ancora dei movimenti studenteschi, di un Boulevard Péripherique in costruzione intorno a tutta la città, della Grande Boucle) passò agli annunci economici.
Non voleva tornare a fare l’impiegata e probabilmente nessuno la avrebbe assunta. C’era invece una grande richiesta di cameriere: i ristoranti a Parigi erano numerosissimi e di vario tipo.
Da quelli di lusso con spettacolo serale, ai bistro dove si mangiava gomito a gomito su tovaglie di carta.
Seguendo i consigli dei ragazzi italiani appuntò qualche indirizzo nella zona del quartiere latino e si mise in cammino.
Parigi offriva tutti i mezzi di trasporto possibile: metro, autobus, taxi, ma Wendy preferiva le sue lunghe camminate così poteva fare del movimento e conoscere meglio la città.
Percorse le stradine del quartiere del Marais, zona popolare con bei palazzi in corso di restauro, arrivò lungo la Senna, attraversò un ponte e si trovò davanti a Notre Dame.
Un’altra emozione che fu ancora più grande all’interno dove un coro, sull’altare, stava cantando.
Wendy sarebbe stata tutta la mattina lì ad ascoltare ma riprese il cammino. Evitò con malincuore Quai des Orfevres e Place Dauphine, zone di lavoro e di bevute di Maigret, attraversò la Senna ed eccola sulla Rive Gauche.
Entrò in un bistro che era nella sua lista: il proprietario la squadrò con sufficienza (erano proprio scorbutici questi parigini!) le propose uno stipendio da fame, Wendy ringraziò e uscì sperando in qualcosa di meglio.
Fece bene perché il secondo tentativo andò a segno: una bella signora la accolse in un ristorante molto elegante, pieno di quadri, specchi, tovaglie ricamate, c’era anche un piccolo palco con un pianoforte a coda.
Wendy piacque alla signora per la presenza e la conoscenza delle lingue: sapeva oltre naturalmente all’italiano anche un po’ di inglese.
Come referenze Wendy mentì dicendo che aveva già lavorato in Italia come cameriera e così fu assunta per un periodo di prova.

continua….

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