Tornando a casa dopo la solita “spesa” al mercato centrale, Rio si era imbattuto in un vecchio manichino, da qualche parte, ed il suo spirito di accattone l’aveva convinto a portarlo a casa di Simona.
L’avevano messo nella stanza da letto e si erano adoperati per rimetterlo in sesto alla meglio, vestendolo con alcuni dei vestiti del Nero e disegnandogli una buffa espressione con un pennarello.
Quando Simona tornò a casa Rio la accolse bighellonando per la stanza con quel manichino.
– Ciao Simona! Questo è Mustacchio, il nostro nuovo amico – sorrise, – il nome gliel’ha dato il Nero perché gli abbiamo fatto i baffoni.
Simona rise: – Dove lo hai pescato?
– Da qualche parte – rispose il Nero, che vigilava sui giochi del fratello, alle sue spalle.
– Hai una casa così vuota… – si giustificò Rio, – speravo di ravvivarla un po’ con qualcosa.
Simona squadrò l’aria martoriata del manichino, gli mancava un braccio e una gamba era destinata a staccarsi a breve.
– A me sembra solo una porcheria vecchia, rotta e sporca – rispose Simona.
– A lui piace – commentò il Nero, scrollando le spalle.
– Ho deciso che diventerà il nuovo mozzo quando io sarò Secondo Ufficiale – disse Rio.
– Ti ho già detto che il Secondo Ufficiale non esiste, e tu comunque devi ancora crescere parecchio prima di diventare un ufficiale.
– E invece ti dimostrerò che sono abbastanza grande per fare l’ufficiale brontolò Rio.
Il Nero sorrise: – Cosa vorresti fare sentiamo?
– Ecco, vediamo, metterò a posto Mustacchio e lo faro’ diventare un manichino bellissimo. Posso dipingerlo, decorarlo…
– Pulirlo… – suggerì, stizzita, Simona.
– Questa sarebbe un’ottima idea – sorrise il Nero. – Comunque bentornata, com’è andata a lavoro?
– Al solito – minimizzò, togliendosi la giacca, – avete preparato qualcosa da mangiare?
– Si, è tutto in cucina, dovrebbe essere caldo.
Simona entrò in cucina con l’indifferenza di ogni giorno, posò la borsa, controllò il tegame ancora sui fornelli, si versò un bicchiere d’acqua e bevve. Quasi non lo notò, quasi non lo volle notare quel rettangolo di carta lucida che spuntava da sotto il tavolo, eppure i suoi occhi lo percepirono e la sua mente fu obbligata a elaborare, obbligata a capire.
C’è una cosa inconfondibile, nella carta stagnola usata per fumare il crack, oltre il nero dell’accendino, oltre il suo essere perfettamente distesa e piegata. È un segno, scuro, come il foro di un proiettile sanguinante di nero, di un liquido metallico che si intreccia in percorsi vertiginosi, in labirinti di coscienza che hanno il colore dell’oblio.
Fu propro quel segno inconfondibile a scatenare la nuova tempesta, a far spirare i venti di una nuova alluvione.
– Cos’è questo? – domandò Simona.
Il Nero non rispose ma il rosso dei suoi occhi le bastò per capire.
– Quante volte? – chiese Simona, sentendosi di nuovo stupida e ingenua come una bambina.
Il Nero rimase in silenzio, la guardò con aria colpevole ma si limitò a quello.
– Che cosa vuoi? – Rispose, contrariato, Rio.
Simona guardò Rio e nel suo sguardo esitante vide lo stesso rosso sanguigno degli occhi del Nero.
– Anche tu!? – tuonò. – Io non ci posso credere… non ci posso credere… – tornò a rivolgersi al Nero. -Ma dico: sei fuori!? Tu quanti anni hai!? Ne avrai diciotto? E lui, cazzo, Rio ha dodici anni!? Ti rendi conto!? Dodici cazzo di anni!!!
– Lo so anch’io quanti anni ho! Non c’è il caso che lo ripeti – sibilò Rio.
– Sta’ zitto Rio – disse il Nero. – Ha ragione.
– Ho ragione sì, cazzo se ho ragione, ho ragione si. Ma si può far fumare questa merda ad un bambino!? È tuo fratello, cazzo, tuo fratello!
– Lo sa anche lui che sono suo fratello!
– Zitto Rio.
– È lui che mi ha cresciuto, è lui che mi ha trovato sempre un posto dove dormire, è lui che mi ha sempre dato da mangiare…
– Piantala Rio!
– È lui che mi ha sempre protetto, anche quando eravamo al campo, è lui che mi ha protetto quando…
– STA’ ZITTO RIO! – tuonò il Nero, balzando in piedi.
Simona rabbrividì, era la prima volta che lo sentiva gridare, era la prima volta che lo vedeva uscire dai suoi schemi, da quei sorrisi incantati e gli sguardi persi sempre alla ricerca di qualcosa, sempre lanciati verso un domani immaginario e misterioso.
– Scusa Nero – balbettò Rio, rimettendosi a sedere.
– HA RAGIONE E NOI POSSIAMO SOLO STARE ZITTI! HAI CAPITO BENE!? ZITTI! –
Simona non avrebbe saputo definire il perché del suo senso di colpa, di quella sensazione schiacciante che provava vedendo il Nero litigare con Rio. D’un tratto guardò il rettangolo di carta stagnola che stringeva tra le mani e ripensò al giorno in cui li aveva incontrati, a come erano sembrati tristi, con i loro vestiti stropicciati.
“Tu dove abiti?” le aveva domandato Rio, masticando la sua brioche.
“Non tanto lontano” aveva sorriso lei.
“Vivi sola?” aveva incalzato.
“Rio, non sta bene fare tutte queste domande” lo aveva ammonito il Nero, “mangia, sii grato e sta’ zitto”.
“No, stai tranquillo. Si, vivo da sola.”
“Sei molto bella, lo sai? È un peccato che vivi sola.”
Lo aveva detto con assoluta ingenuità, quasi con noncuranza, ma era bastato per farle avvampare il volto. “Grazie” aveva riso, nervosa. “Anche tu sei molto carino.”
“Questo, la piccola carogna, lo sa bene” aveva ridacchiato il Nero.
“Noi siamo rimasti senza casa, invece” aveva continuato Rio, rigirando il cucchiaino nella tazza.
“Su, su, su, non rattristire la signorina con i nostri problemi” aveva detto il Nero, alzandosi in piedi per infilarsi la giacca. “Noi abbiamo ancora un sacco di cose da sbrigare”
Rio aveva ingurgitato il contenuto della tazza ed era balzato giù dallo sgabello. “Andiamo!”
Simona li aveva guardati infilarsi lo zaino, salutare e prendere la porta, solo in quel momento aveva superato il bancone e li aveva richiamati indietro.
Quella volta aveva pensato di farlo per loro, credeva di volergli offrire una casa per poterli aiutare, per risparmiarli dal freddo, ma la verità era un’altra, era solo e sempre stata un’altra. In fondo al cuore, in segreto, sperava che loro potessero avere la cura al vuoto che si sentiva dentro, che avessero accesso alle polveri magiche che riescono a cancellare l’angoscia. Simona aveva sempre saputo tutto, nelle loro occhiaie marcate aveva già visto il suo possibile destino.
“Una pietra” pensò, guardandoli litigare, “anch’io voglio essere una pietra”.