“I’m very good at the past. It’s the present I can’t understand.”

 

Brainstorming creativo alla ABC, 2018 (circa).

“Ragazzi, forza, dobbiamo uscire da questa stanza con almeno un’idea buona per una serie”

“…”

“Va bene, anche non buona, ma un’idea qualunque, che dobbiamo riempire i palinsesti dei canali a pagamento!”

“Allora io ne ho una: facciamo High Fidelity, per me una serie ci esce”

“Il remake del film con John Cusack?”

“Me lo ricordo il film, non era male, c’era la moglie di Lenny Kravitz!”

“Vabbè dai, il film non l’ha visto nessuno, ma il libro è un cult”

“Ragazzi, su: ho detto che va bene un’idea qualunque ma non così: è ambientato a Londra, e Londra è out, è anni novanta, superata, tra un po’ esce anche dall’Unione Europea. Poi John Cusack: maschio, bianco, eterosessuale, allora non avete capito: qua per farsi non dico approvare un progetto ma farselo prendere in considerazione, dobbiamo smarcare tutti i seguenti punti: protagonista femminile, molti personaggi afroamericani, molti personaggi omosessuali o sessuali come volete purchè non etero. Le storie dei maschi bianchi etero non interessano più a nessuno, manco per Star Wars. Gli etero sono come Londra: roba anni novanta”

“E che ci vuole, scusa: la chiamiamo Robin invece di Rob, la piazziamo a Brooklyn tipo Spike Lee e la facciamo di colore e bisex. Anzi, prendiamo la figlia di Lenny Kravitz così facciamo pure la metacitazione del film”

“…”

“GENIO!!!!”

E mi ci gioco quello che volete che sia andata esattamente così.

 

Rob “Cusack” vs. Rob “Kravitz”

High Fidelity (su disneyplus) è una serie in dieci episodi che ottimisticamente sperava di essere rinnovata per almeno una seconda stagione e invece è stata cancellata, quindi – spoiler – se non vi piacciono i finali appesi, ammesso che riusciate ad arrivare in fondo, non iniziate nemmeno.

Ora, a scanso di equivoci: il film del 2000 non è affatto male (John Cusack, Jack Black e una gran colonna sonora, che per una storia che parla continuamente di musica non è proprio un dettaglio trascurabile), è un ottimo adattamento di un ottimo libro – quindi cambiare prospettiva poteva anche essere un’idea sensata, per giustificare un nuovo adattamento. Però, quando si fanno le cose a tavolino perché hai una lista di punti da smarcare (perché c’era la lista, fidatevi), è facile perdere di vista il quadro generale.

Per chi ha saltato gli anni novanta, Nick Hornby e John Cusack, la storia di High Fidelity (o Alta Fedeltà) è questa: Rob (diminuitivo di Robin, Zoe Kravitz) gestisce un negozio di vinili a Brooklyn e ripercorre, dopo l’ennesima e dolorosa rottura sentimentale, la classifica delle sue delusioni sentimentali, allo scopo di capirci qualcosa, tra un concerto di musicisti emergenti e discussioni infantili a colpi di “top 5” di questo e quello con i colleghi di lavoro (attività che scritta così sembra che io disprezzi invece sono vent’anni che faccio la stessa cosa sia da solo che in compagnia, ispirato proprio da Rob).

Sia il libro che il film fanno parte da sempre della mia personale auto-terapia in caso di delusioni sentimentali. Quando l’ho letto per la prima volta a diciannove anni, ci ho riconosciuto molti dei miei tic e l’ho adorato (fase: “voglio diventare Rob”). L’ho trovato illuminante anni dopo (fase: “ha ragione Rob”), quando mi ha aiutato a sdrammatizzare la fine delle prime storie d’amore e ho continuato a immedesimarmi nel Rob su carta o su quello con la faccia di John Cusack, fino alla volta in cui, molti anni dopo, finalmente ho capito che Rob, in sostanza, è un coglione. E sì, anche quella volta mi sono immedesimato (fase:”mio dio, come ho fatto a diventare Rob”).

Ora, per generare empatia per un personaggio infantile, superficiale e irresponsabile ci vuole talento, ci vuole uno con un’aria indifesa e simpatica, ci vuole uno insospettabile, uno che non possa essere dalla parte del torto perché se sa i cinque dischi giusti per ogni occasione, deve saperla lunga anche su tutto il resto. In altre parole: ci vuole John Cusack.

Qui arriva il primo problema della serie: non solo non c’è John Cusack, ma c’è Zoe Kravitz, che irradia antipatia anche in foto di schiena e risulta pertanto insopportabile come Rob nei suoi comportamenti infantili ed egoisti. Insomma, non riusciamo a darle il beneficio del dubbio, l’empatia non scatta proprio mai. Non basta un eccellente cast di supporto, anche se è quasi un peccato che le storie secondarie siano state lasciate in sospeso, in particolare quella di Cherise, altro personaggio che da uomo bianco diventa donna afroamericana (in questo caso però è ottima la scrittura del personaggio e ottima l’attrice, Da’Vine Joy Randolph).

L’altro tasto dolente è l’inversione del genere del protagonista: il romanzo originale è una storia maschile, è il punto di vista, limitato e infantile – quindi molto credibile – di un uomo sui trent’anni rispetto all’altro sesso e alle cose importanti della vita. Se c’è un ambito in cui donne e uomini sono e saranno sempre diversi però è proprio quello dello spazio emotivo, della gestione degli affetti, del modo in cui si relazionano all’altro sesso, o comunque nelle storie sentimentali. Persino nell’immaturità siamo diversi.

Non esiste, né è pensabile un Diario di Bridget Jones al maschile. Non avrebbe alcun senso, non convincerebbe nessuno. E così non ha senso Alta Fedeltà al femminile. Pensate a Louise May Alcott: quanto successo ha fatto con Piccoli Uomini? Ecco.

High Fidelity è una serie che nasce su un presupposto sbagliato e non lo raddrizza mai. Salvo un’eccellente colonna sonora e buona parte delle interpretazioni secondarie, ma al prossimo disastro sentimentale, torno da John Cusack, come sempre.