NASCITA DI VENERE
Era scivolata fuori dalla vagina con la fluidità di un pesce, mentre sua madre, immersa nell’acqua, stava facendo l’ennesimo bagno per combattere il caldo anomalo, in quel di febbraio.
La puerpera dormicchiava nell’acqua, placida come un balenottero, godendosi il beneficio, seppur temporaneo che quel bagno le offriva, che non avvertì la fuoriuscita uterina se non quando toccò con i piedi il corpicino.
La donna, paralizzata dallo stupore, rimase per un qualche tempo ancora immobile poi, riconquistata la lucidità, affannosamente si era data da fare per ripescare dal fondo della vasca il neonato, che sicuramente era morto annegato dal momento che lei non s’era neppura accorta d’averlo partorito.
Con infinita cautela seguì la gomena del cordone ombelicale affinchè la guidasse verso suo figlio, così da poterlo trarre in superficie per farlo respirare.

Quella che trasse dall’acqua era una creatura glabra, dalle trasparenze di medusa e quasi senza peso. Talmente minuta che stava tutta  in una mano.
Al contatto dell’aria emise un vagito disperato e furioso che sua madre chetò soltanto quando, stringendola al seno, scivolò di nuovo nell’acqua, in attesa di un aiuto esterno, che pur bisognava tagliare quel cordone ombelicale e lei non aveva niente con cui reciderlo.
Da li a poco sarebbe rientrato suo marito e così avebbe avuto anche il supporto dell’ostetrica.
A lei rimaneva poco da fare se non controllare il sesso del nascituro e che fosse, almeno fisicamente, ben formato.

Era una bimba, e così a lei s’affacciò l’ipotesi di chiamarla Venere, in virtù di quella sua nascita acquatica che, seppur sprovvista di conchiglia, ricordava quella della dea dell’amore.

Il prete si rifiutò di battezzarla col nome di Venere, trovando immorale porre il nome di una dea pagana ad una bimba cattolica.
Invano sua madre lottò per legittimare la sua scelta, che si trovò di fronte l’opposizione non solo del prete ma anche di tutta la famiglia.
Si optò allora per il doppio nome: Maria, come la nonna materna, e Assunta, come quella paterna.
Un compromesso che non le piacque affatto, a cui però dovette sottostare per amore di pace famigliare e sociale, che suo marito era un architetto molto stimato e la cui clientela, di certo benestante, frequentava regolarmente la messa della domenica, e non sia mai che al prete scappasse una omelia sulla blasfemia di certi nomi.

La piccina sarebbe stata per tutti Maria Assunta e solo per lei Venere.
Questo le fece amare ancora di più quel nome e la bimba che in segreto lo portava.

VITA DI UNA DEA 
Erano trascorsi gli anni e la bambina non aveva dismesso il suo pallore di porcellana nè scurito il colore di quei suoi capelli, talmente chiari, da confondersi con l’aria.
La madre la vestiva di bianco e di celeste, o una nota di verde acqua per far risaltare quei suoi occhi ialini, la cui trasparenza rifletteva tutte le sfumature dell’aria e della luce.
Venere era diversa da tutte le sue coetanee, tra le quali spiccava come un raggio abbagliante ed etereo, quasi fosse un miraggio quella creatura fatta di sola luce.
Ma che proprio all’elemento luce, alla sua naturale crudezza. aveva mostrato fin da subito una particolare intolleranza, diventando estremamente nervosa, irascibile perfino, lei di carattere così dolce e accondiscendente.
E questa negatività s’era andata con gli anni consolidando, ma nessun dottore aveva saputo trarne spiegazione dal momento che non c’erano sintomi di alcuna patologia, e la bimba, avviandosi a breve all’adolescenza, cresceva conforme ai criteri stabiliti dalla moderna pediatria.
Questa avversione poteva banalmente imputarsi esclusivamente alla sua carnagione diafana e agli occhi chiarissimi che mal tolleravano un calore troppo intenso, ed una luce troppo vivida.
Per il resto era sana come un pesce.

Sua madre aveva però notato, senza per altro farne mai parola con nessuno, quasi che si trattasse anche questo di un segreto condiviso solo da loro due, che la ragazzina trascorreva lunghe ore distesa nella vasca da bagno, il volto sotto il pelo dell’acqua, e più di una volta l’aveva trovata immobile, come morta, e così lei, spaventata, aveva urlato scuotendola freneticamente, per richiamarla in vita.
Ma ogni volta Venere riapriva gli occhi per fissarla con tono accusatore, come se le grida e lo scuotimento l’avessero trascinata brutalmente via da una sublime visione.
Allora, sentendosi in colpa, seppur non sapeva bene di cosa, la madre se la stringeva al seno vezzeggiandola, chiamandola col nome segreto, mentre tracciava un racconto parallelo tra la nascita marina della dea e quella sua stessa.
Le narrava di quel febbraio incredibilmente caldo, di lei immersa nella vasca da bagno in stato di torpore e di quando, riacquistando coscienza, si era finalmente accorta della sua silenziosa nascita, e dello spavento inenarrabile provato nel crederla affogata, e della gioia infinita di quel primo vagito una volta che lei l’aveva restituita all’aria e alla luce.

Ho ancora paura quando ricordo quel momento.
Era questo il modo in cui finiva sempre il suo racconto, cercando per lo più una rassicurazione per se stessa, che Venere si limitava a guardarla in silenzio, con quel suo sguardo insondabile che sembrava emergere dal profondo insidioso di un oceano remoto.

LA DEA DEL CIELO. E QUELLA DELL’ACQUA.
Venere era il nome segreto con cui amava chiamarla sua madre, ma per il resto del mondo, quell’adolescente diafana ed introversa, si chiamava Maria Assunta, col nome doppio ereditato dalle nonne.
Lo stesso nome della madre di Dio, la dea cattolica ammantata d’azzurro e circonfusa di luce, che dimora in cielo tra le nuvole e gli angeli, vicinissima al sole.
Forse troppo vicina.
Una immagine insopportabile, che subito la sua pelle s’arrossava, e le labbra e le gote avvampavano in un fuoco immaginario, eppur così doloroso, che solo il contatto con l’acqua riusciva a lenire.

Sana come un pesce, avevano dichiarato i dottori.
Ma che ne sanno i dottori dell’universo dei pesci?

Venere s’era interrogata più volte a tal proposito, risultandole evidenti, e stridenti, le differenze tra il mondo terrestre e quello marino.
Così rumoroso e frastagliato il primo quanto silenzioso e compatto l’altro.
E lei, da sempre, s’era sentita appartenere all’universo buio e liquido dei pesci.
Il perchèé non l’avrebbe mai saputo spiegare: era così e non poteva farci nulla.

Sapeva che il sole mai avrebbe potuto penetrare oltre la superficie del mare, che anche l’onda più pigra l’avrebbe facilmente avuta vinta contro i suoi raggi più puntuti e più ardenti, stemperandoli in mero bagliore.
Volentieri avrebbe così dimorato nei fondali più profondi per emergere solo al calar del sole ad illuminare la notte con le trasparenze crude della sua liscia pelle di medusa.

UN PAESAGGIO IMMAGINARIO
Il paesaggio immaginario di Venere, quindi, non combaciava con quello reale di Maria Assunta.
Il rifugio della vasca, la sua culla preferita fin dall’infanzia, s’era nel tempo circoscritto alle pareti di vetro di un acquario, dove lei vi dimorava solitaria, come una dea irraggiungibile.
Ma l’acquario mai sarebbe tramutato in quel fondale marino che lei immaginava tappezzato da sontuosi tappeti di alghe dai colori autunnali, percorso dalle grandi praterie, baluginanti di verde e di marrone, di posidonia e zostera, incessantemente attraversate dalle inquiete colonie nomadi di plancton.
E lei, Venere, finalmente nel suo elemento naturale, avrebbe assunto le sembianze della medusa nutricula, l’unico essere immortale tra le creature del mare, del cielo e della terra.

L’acqua l’avrebbe resa dea, quanto il cielo, invece, l’aveva ridotta schiava.
Quel cielo implacabile che le incombeva addosso con le sue mille lame di luce, condannandola reclusa in una eterna penombra, acquattata sul fondo della vasca, sotto il pelo dell’acqua, come un animale che tenta di sfuggire al predatore, cancellando il proprio odore e le proprio tracce.

 DESTINI
Ma da quel fondale casalingo sua madre sempre l’avrebbe fatta riemergere, così come era stato fin dal suo primo giorno di vita, strappandola alla rassicurante frescura amniotica dell’acqua per restituirla alla luce.
Perché questo era nel destino di sua madre.

Il destino di Venere, invece, sarebbe stato  quello di rivivere in eterno l’attimo della sua nascita.
Lo stesso destino della medusa nutricula.