VALZER CON BASHIR, DI ARI FOLMAN Ho visto migliaia di film, ma a pochi – forse a nessuno – sono affezionato come a questo. Sono passati anni, eppure me lo ricordo come se fosse ieri. La storia di un ragazzo israeliano – uno come tanti – che ha la colpa di essere giovane nel momento sbagliato. Siamo nell’82: durante la leva, finisce a combattere sul fronte libanese. Il resto è una lenta, estenuante, inesorabile preparazione all’orrore, come in un nuovo Deserto dei Tartari: ricordi di amori, di scherzi, di serate in discoteca, e poi la partenza per il Libano, la vita di trincea e di camerata, fino a quando non si sprigiona l’orrore.

 

Di solito il Cinema è un’Arte che ama l’essenziale, ben più di altre forme: per questo i musical e i melodrammi non riescono quasi mai. E i cartoni funzionano solamente quando sono pensati in un mondo di fantasia. Qui invece la regola è sovvertita: tutto il film è crudo, realistico, e al tempo stesso fatto di cartoon; eppure il risultato è ottimo. Ci sono delle sbavature, ma le emozioni – quelle vere – si percepiscono a ogni istante. Folman, assediato dagli incubi, si chiede come riuscirà a dimenticare tutto questo. E non trova una risposta. Così non gli resta altro che raccontare, per ricordare a se stesso – e a tutti noi – che “ebreo” è molto più di una parola. E’ un’anima perseguitata, costretta dai nemici a guardare nell’abisso. E questo è rischioso. Come diceva Nietzsche, “chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te”.

 

Forse Folman ce l’ha fatta – ha vinto contro i demoni, mantenendosi puro. O forse no. Il film si chiude lasciando mille domande – ed è questa la sua grandezza. Per questo ci sono mille opere più importanti, più belle di questo “Valzer”, ma quasi nessuna altrettanto vera, intensa. E nient’altro conta.