Jérôme Bissailon e Martin Deuxième
Jérôme Bissailon e Martin Deuxième, erano al”epoca in cui accadono i fatti, entrambi giovani, belli, e valenti spadaccini. Eroi di una leggenda d’altri tempi, seppur il loro sodalizio e le loro scorribande banditesche non erano mirate al perseguimento di alcun ideale, se non a quello della loro stessa deificazione.
Archetipi. Icone.
Rock star, in largo anticipo sui tempi.
Jérôme era egocentrico, esibizionista, spregiudicato, quanto invece Martin era schivo, suscettibile e rancoroso. Caratterialmente antitetici, pur si somigliavano nel fisico, tanto da sembrar fratelli. Ma mentre l’intima essenza di Jerome rifulgeva verso l’esterno con la luminosità incandescente di una supernova, quella di Martin, buia ed indecifrabile, confluiva verso il suo interno, nel magnetismo ermetico di un buco nero.
Accomunati dalla stessa sorte che alternava favolose fortune a incredibili rovesci, condividevano il medesimo destino di esiliati e la vita nomade dei banditi, costretti dalla loro stessa leggenda a non sostare mai a lungo nella stesso posto.
Una leggenda truffaldina, però, che nonostante agissero di concerto e dividendosi in egual misura rischi e pericoli, la narrazione sbilanciava, per incomprensibili motivi, tutta a favore di Jerome, relegando Martin al ruolo di gregario. L’oscuro motivo di questa inspiegabile partigianeria nei confronti del suo complice, aveva scavato nel suo animo, già predisposto al risentimento, un’ostile trincea. Un barricamento che col passare del tempo, e l’accumulo delle amarezze, sarebbe diventato un bastione inespugnabile.
“Jérôme le magnifique rebelle” e “Martin le second”
Il romantico appellativo era toccato all’amico, mentre a lui, invece, la perifrasi spregiativa del suo cognome.
Un nomignolo coniato per gioco da Jerome e diventato poi il suo nome identificativo, che lui odiava con tutto sé stesso.
Quel loro brigantesco sodalizio s’era consolidato nella complicità piuttosto che nell’amicizia.
Condividevano avventure, rischi e rappresaglie, ma in modo autonomo, rimanendo indipendenti nel territorio comune. L’intesa perfetta che li aveva accomunati nell’elaborazione di piani e strategie non s’era concretizzata allo stesso modo nel loro privato. Anche se Jerome qualche tentativo di travalicare i confini lo aveva pur fatto, ma senza trovare sponda nell’altro. E così aveva desistito per evitare inopportune forzature e rischi di rottura nella loro intesa banditesca. Consapevole del valore del suo alleato, nutriva per Martin un sentimento sincero d’ammirazione che spontaneamente sarebbe culminato nell’affetto se l’altro glielo avesse consentito. Ma così non era stato, e col tempo, quel trauma s’era calcificato.
Era successo ad entrambi d’innamorarsi della stessa donna, una zingara dagli occhi di gatta e i fianchi di gazzella. E il cuore di tenebra. Aida, questo il nome dell’ammaliatrice gitana, un’eminenza nel campo degli incantesimi drastici, con cui scippava alle sue vittime l’anima e la ragione, assoggettandoli al suo volere. Ma con Martin questo incantesimo però aveva funzionato solo parzialmente, perché s’era spontaneamente innamorato prima che lei mettesse in atto le sue malie, e questo lo aveva immunizzato dagli ipnotismi e dalle strategie subliminali di cui Aida si serviva per raggiungere i suoi scopi. S’era innamorato di lei e della sua anima buia, che la zingara teneva sotto chiave, inaccessibile come un segreto proibito. Ma lui quel mistero lo aveva scoperto. E follemente se ne era invaghito. Così l’avrebbe amata per come lei era, accettandola nell’interezza della sua natura. Volontariamente assoggettandosene. Ma Aida di questo suo intento ne aveva riso, e subito dopo, per rappresaglia a quei sentimenti da lui esternati, aveva sedotto Jerome che, estremamente sensibile al fascino femminile s’era lasciato irretire, senza troppi scrupoli, dalla donna che ancora abitava il letto del suo amico.
Quello stesso letto dove Martin li aveva sorpresi.
– Martin le second! – Così lo aveva apostrofato Aida. E Jerome aveva riso.
Martin, allora, era fuggito via.
Nella stessa direzione
I due s’erano incontrati per caso dopo molti anni, ancora clandestini e senza fissa dimora. S’erano guardati e senza scambiarsi neppure una stretta di mano, avevano allineato le reciproche cavalcature e proseguito nella stessa direzione.
Jerome Bissailon s’era imbolsito e ingrigito, e del suo antico splendore non rimaneva altro che la risata contagiosa in una bocca carente di denti, e lo sguardo malandrino degli occhi occhi, un tempo grandi limpidi, ed ora acquosi e bovini.
La sua faccia aveva perso la delicata cesellatura dei tratti, risultando ora troppo piena di naso e di guance. Una faccia grande e gommosa, simile a quella di uno gnomo gigante e sproporzionata al corpo, rimpicciolito nell’altezza e con la pancia prominente del bevitore.
Un’ ispezione impietosa, quella di Martin, attento ai dettagli, ai particolari significativi delle rughe nella loro profondità ed estensione: quelle posizionate agli angoli della bocca e quelle incise tra le sopracciglia, e le altre massicciamente addensate sotto gli occhi. Le rughe sul viso di Jerome erano la mappa dell’ iperbole del suo declino.
“Jérôme, le magnifique rebelle” del passato, giaceva seppellito nell’ammasso informe del Jerome Bissailon del presente.
Martin Deuxième, invece, aveva tenacemente perseguito la sua vita di emarginato. Solitario e rissoso, attaccabrighe per futili motivi e castigatore per ancor meno, aveva continuato a vivere barricato nella sua inaccessibile trincea, in perenne stato d’assedio e pronto a sparare a vista su chiunque avesse tentato di superare il suo confine.
Lui era rimasto lo stesso di un tempo.
La resa dei conti
– Smettila di fissarmi – Mugugnò Jerome. – Hai sempre avuto questa mania. Credevi non me ne fossi mai accorto? Mi guardavi come se volessi entrarmi dentro. Come se volessi diventare me. E una volta forse c’era un senso a voler essere me. Ma ora sono diventato vecchio e grasso. Incredibilmente brutto. Chi vorrebbe ancora somigliarmi? Non certo tu che conservi una figura agile e tutti i tuoi denti! – Disse Jerome dandosi una manata sulle ginocchia e scoppiando in una fragorosa risata. – Ti confesso, però, che in passato anche io ho desiderato essere te: invidiavo tuo forsennato orgoglio. Se solo ne avessi posseduto una piccola parte di sicuro mi sarei salvato da me stesso. Ma l’orgoglio è sempre stato un sentimento a me estraneo, mentre tu ci annegavi dentro come in un mare in burrasca. In cambio di quello ti avrei dato un po’ della mia ironia, e forse avresti smesso la tua ossessione del cognome, e poi quella del soprannome, per cui ti sentivi a me subalterno. Un baratto che sarebbe stato per entrambi un ottimo affare. Perché mi odiavi così tanto? – Chiese Jerome, con voce lamentosa
– E’ vero che ti odiavo. Esattamente come ora. Non ho mai smesso. All’inizio ti ammiravo, ero abbagliato dallo splendore di “Jérôme, le magnifique rebelle”, ma poi deluso dalla pochezza di Jérôme Bissailon, ho iniziato a disprezzarti perché le due immagini non combaciavano. E’ stato allora che ho preso le distanze dall’uomo per non rinnegare il mito, che pure nel tempo si è rivelato altrettanto meschino, dopo che tu lo hai corrotto e declassato al tuo livello. Martin Deuxième, avrebbe benissimo potuto fare giustizia appena scoperto l’inganno, ma glielo ha impedito “Martin le second”. Uccidere l’impostore avrebbe contribuito ad alimentarne la leggenda. Doveva essere la folla ad assassinarlo, nel suo modo spiccio, sprezzante e definitivo, con la cancellazione dalla memoria collettiva. Questo avrebbe significato anche l’eliminazione di “Martin le second” ma non sarebbe stato infine un abominio dal momento che era solo la propaggine di “Jérôme, le magnifique rebelle”. Un subalterno, però, indispensabile, perché quando me ne sono andato è iniziato il suo declino -. Concluse Jerome, solenne.
Tacquero entrambi per un breve ristoro da quella loro conversazione che molto somigliava ad un duello di spade.
E come in un duello avrebbe vinto chi sarebbe rimasto vivo.
Martin non rispose.
– Io non l’amavo di vero amore. E lei neppure. Il nostro è stato solo un gioco. Una combine. Mentre tu invece ne eri davvero preso. Per un breve momento devi aver smesso perfino di odiare. Riposandoti da te stesso. Ma i peccatori come noi, Martin, necessitano dell’amore di donne innocenti nelle cui mani rimettere le proprie colpe, mentre Aida era traviata, esattamente come me e te. Te ne sei innamorato quando specchiandoti in lei hai visto il tuo riflesso e ne sei rimasto affascinato. Anche lei ha visto quel riflesso, ma ne è rimasta sconvolta. E ha deciso di salvarti. Perché quello che tu non sai, Jerome, è che Aida ti amava. Ma quell’amore avrebbe richiesto il sacrificio totale di uno dei due dal momento che tu miravi alla fama mentre lei, invece, all’anonimato. Uno di voi avrebbe dovuto vivere nell’ombra dell’altro, e lei non era donna da rinunce. Accecato dal sentimento avresti accettato il sacrificio di modificarti. Di adeguarti alle sue esigenze. Saresti stato la sua ombra, il suo secondo, e lei questo non lo voleva perché ti amava profondamente. – Poi con un sospiro profondo, concluse: – Sei stato così tanto amato, Martin, come io mai lo sono stato. — La realtà è che tu l’hai convinta a lasciarmi perché io restassi con te, per continuare a dar risalto a “Jérôme, le magnifique rebelle” e al suo splendore. Avevi bisogno di me, del tuo secondo, per poter splendere. Sei tu che mi hai inchiodato a questo ruolo, con la tua maledetta ironia, i giochi di parole, i sottintesi, che mi hanno condannato ad essere per sempre “Martin le second” Tu non mi hai distrutto con l’odio, Jerome, ma con la tua ignobile facondia. – Sibilò Martin sopraffatto dal rancore.
Jerome sorrise. L’antico, seducente sorriso di “Jérôme, le magnifique rebelle” emerse dal passato e si disegnò per un momento sul suo volto. Una provocazione insopportabile per Martin che col pugnale nel vendicò l’affronto.
– Quando ti ho rivisto sapevo di andare incontro al mio destino, e non me ne sono sottratto. Solo avrei voluto fosse stato il tuo amore, e non il tuo odio, a darmi la morte – Mormorò Jerome prima di spirare, nel suo ultimo tentativo di varcare i confini e ridurre quella loro distanza.
Ma neppure stavolta trovò sponda.