Ascolta la versione audio, interpretata da Andrea Di Vincenzo di Cantine Teatrali:

UNA STORIA ASSURDA

LA MORTE
La Morte era entrata nella stanza e si era seduta, senza chiedere il permesso e senza troppe cerimonie, al capezzale del vecchio.
Era esattamente corrispondente alla raffigurazione dell’iconografia più classica: intabarrata in un mantello nero, il cappuccio a nasconderle il volto, la falce stretta in una mano e, nell’altra, un rosario.
Si era dunque seduta ed aveva subito iniziato, come da copione, a sciorinare i grani del rosario in attesa di giungere all’ultimo mistero e concludere la sua missione quando, in ultimo, si sarebbe chinata sul morituro e con un bacio misericordioso avrebbe soffiato via, insieme alla vita, anche la sofferenza.
Era stanca, La Morte, ed anche un pò nervosa e decisa a concludere in fretta, pregustando il momento del riposo quando avrebbe passato la staffetta, pardon la falce, alla collega preposta a darle il cambio (che noi sbagliamo ad immaginare La Morte come entità unica perché, in realtà, si tratta di una congrega organizzata con turnazioni ed orari, e non potrebbe essere altrimenti visto la colossale mole di lavoro a cui far fronte).
Il suo sguardo errava dalla pendola alla finestra, che già la notte schiariva nell’alba, ma non poteva comunque, seppur lo desiderasse, affrettare i tempi, dare un’accelerata e chiudere la storia con un semplice amen.
Occorreva pazientare ancora un po che ben sapeva, per esperienza sul campo, che è sempre meglio accordare quell’attimo in più di vita che ricorrere a metodi brutali o troppo invasivi.
Tutto questo nonostante l’atteggiamento scarsamente collaborativo degli interessati.
La Morte aveva comunque calcolato che l’ultimo grano del rosario avrebbe dovuto corrispondere, presso a poco, al sorgere del primo raggio di sole e subito dopo per il vecchio ci sarebbe stato il black out finale e, per lei, finalmente un po di riposo.

IL VECCHIO
Il vecchio aveva visto La Morte entrare, e benché fosse ormai da lungo tempo allettato, usurato dagli anni più che dai malanni, accolse la sua visita con evidente dispetto, deciso a far finta di niente, ad ignorarla, avallando quel principio che stabilisce essere reale solo ciò che si vede.
Lei, però, era esattamente come l’aveva da sempre immaginata: intabarrata in un mantello nero, il cappuccio a nasconderle il volto, la falce stretta in una mano e, nell’altra, un rosario.
Il vecchio viveva solo, sopravvissuto a tutta la sua stirpe come un relitto centenario, da tempo immemore incagliato in quel letto dove lucidamente, però, s’era industriato di far passare il tempo, e così aveva iniziato ad addomesticare una gallinaccia, goffa ed arruffata, a cui aveva insegnato a covare le uova sul cuscino, e poi ad infrangerne il guscio, affinché lui potesse nutrirsene.
Il centenario e la gallina avevano costituito all’inizio l’attrattiva del paese, poi delle regioni limitrofe ed infine di tutto l’universo esplorato.
Una telecamera fissa monitorava, in tempo reale, le esibizioni della stravagante coppia, in un reality in onda sui canali della televisione e in quelli del web.
Così il vecchio era diventato il nonno di tutti e la gallina un animale sacro, al pari delle vacche in India e dei gatti nell’antico Egitto.
Il centenario, quindi, sfacciatamente dava mostra di non aver visto quella lugubre visitatrice che, seduta sulla sedia accanto al suo letto, sciorinava il rosario.

LA GALLINA
Come sua abitudine la gallina aveva fatto irruzione nella stanza con uno scenografico e goffo volo a bassa quota, in uno scompiglio programmato di piume, spinta dalla improcrastinabile urgenza della cova ma, una volta atterrata sul letto, e contravvenendo ad ogni schema prestabilito, si era arrestata, perfettamente immobile, a fissare una sedia che la telecamera inquadrava vuota.
Verrebbe da precisare che mirava la sedia con espressione stupita, semmai fosse possibile, per una gallina, la capacità di una mimica espressiva.
L’entrata spettacolare del pennuto aveva colto di sorpresa La Morte che sonnecchiava sull’interminabile rosario e che, destata di colpo da quell’ingresso imprevisto, era letteralmente sobbalzata dalla sedia, e per colpa dello stupore e della disarticolazione ossea, aveva lasciato cadere a terra il falcetto e la corona del rosario.
Stabiliamo subito, e a sua difesa, che La Morte non ha virtù di preveggenza e possiede cognizione di un solo tempo che è quello del presente e, per l’appunto, i fatti che ne conseguono saranno d’attribuirsi anche a quel suo mancato istinto di divinazione che, se ne avesse avuto virtù, di sicuro la storia avrebbe avuto un epilogo diverso.

LA CONTESA
La gallina aveva visto cadere a terra la corona del rosario, i cui grani slegati, rotolando, s’erano andati a disperdere ai quattro angoli della stanza.
E già lo stolido pennuto pregustava d’ingozzarsene.
La Morte, intuendone le intenzioni, si precipitò a raccattarli prima che quella ci si avventasse sopra.
Prima di sparare impietosi giudizi, seppur dai fatti conclamati, sulla sua inettitudine maldestra, soffermiamoci obiettivamente a valutare l’increscioso handicap che umiliava le sue mani, con le dita rigide ed i polpastrelli incoerenti, mentre se ne stava prona sul pavimento con la tonaca imbrattata di polvere e il cappuccio sghembo, fuori sincrono e fuori tempo, in affanno, a contendere il terreno ad una gallina nevrotica.

LA ZUFFA
Dal canto suo, la gallina, contravvenendo alla sua mansueta natura di uccello gregario, non mostrava né scrupolo né timore ad avventarsi contro La Morte, eccitata dalle grida d’arena che provenivano dal letto del vecchio che, esaltato dalla prospettiva dell’immortalità, ferocemente sollecitava il pennuto, con blandizie e minacce, a far fuori l’indesiderata intrusa.
Ora che per il vecchio era caduta la finzione del non vedere, la paura della morte s’accompagnava di pari passo con la speranza di riuscire a beffarla.
Quello che la telecamera mostrava era una scena assolutamente folle, perché parziale, dove appariva una gallina infuriata che becchettava invisibili chicchi e s’avventava contro una sedia vuota e aggrediva, furibonda, il pulviscolo dell’aria, sollecitata dell’isteria del vecchio che scalciava nel letto in preda al delirio.

IL DECIMO RAGGIO DI SOLE
Allo spuntare del decimo raggio di sole (che il primo già da un bel pò era sorto, e quindi tutto avrebbe dovuto già essersi concluso) La Morte aveva raccolto l’ultimo grano del suo rosario e s’era accasciata esausta sulla sedia quando la gallina, con un blitz a sorpresa, glielo aveva scippato e l’attimo successivo inghiottito.
Quel boccone però si era rivelato mortale ed il pennuto ne era rimasto soffocato.
Così, La Morte, si era ritrovata tra le braccia la carogna esigua di quell’uccello, arruffato e battagliero, da cui avrebbe dovuto recuperare, con un noioso intervento autoptico, il grano del rosario che l’aveva strozzato, tornare di nuovo dal vecchio e concludere il lavoro.
Quella prossima volta, però, sarebbe stato con la telecamera spenta.